POLIZIA ED ARMI

In quali casi è legittimo l’impiego delle armi da parte della polizia?

Qual è l’ambito di operatività della scriminante prevista dall’articolo 53 c.p.

L’articolo 53 c.p. dispone che:

“Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviario, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.

La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presi assistenza.

La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica”.

La norma in esame contiene un esimente specifica, atta ad escludere la punibilità del pubblico ufficiale, il quale, al fine di adempiere al proprio ufficio, impieghi le armi o si avvalga di altro strumento di coazione fisica essendovi costretto dalla necessità di contrastare un episodio di violenza o resistenza all’autorità.

Inoltre, detta norma estende l’ambito di applicazione dell’esimente arrivando a ricomprendervi anche le ipotesi di attività volte ad impedire che vengano commessi tutta una serie di delitti.

Al di fuori dell’applicabilità dell’articolo 52 c.p., legittima difesa e art. 51, adempimento di un dovere, il pubblico ufficiale può usare le armi nell’esercizio delle sue funzioni solamente per gli scopi contemplati dalla norma.

Massima sul tema della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, sez IV 25/08/2009, n. 23458, contenuta in Cass. Pen. 2009, 12, 4960:

“La Corte decide, con una sentenza dalla genesi tormentata, il ricorso proposto con riferimento alla vicenda dell’uccisione di Carlo Giuliani in occasione degli scontri tra le forze dell’ordine e manifestanti intorno al G8 di Genova 2001. A seguito della decisione del g.i.p. genovese di accogliere la richiesta di archiviazione presentata dal p.m. nei confronti del Car. Mario Placania, i ricorrenti, prossimi congiunti del defunto, avevano adito la Corte europea sulla scorta di diversi motivi; il principale gruppo di argomenti riguardava la pretesa violazione dell’art. 2 Cedu sotto più aspetti. Con un primo motivo di ricorso essi avevano lamentato la violazione dell’aspetto sostanziale di tale articolo avendo lo Stato resistente, tramite un proprio agente, violando il diritto alla vita della vittima tramite un uso sproporzionato della forza. In secondo luogo, avevano lamentato una seconda violazione della norma, sempre dal punto di vista sostanziale, in quanto lo Stato resistente, e per esso le forze di polizia impegnate nella tutela dell’ordine pubblico in occasione della manifestazione, avevano creato, tramite deficienze di pianificazione, organizzative e di gestione degli eventi, una situazione tale per cui era stata posta in pericolo l’incolumità dei partecipanti agli eventi e, conseguentemente, anche quella di Giuliani.

Infine, sotto un terzo profilo, questa volta procedurale, i ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 2 Cedu da parte dello Stato resistente per non aver condotto un’inchiesta efficace sulle circostanze della morte di Carlo Giuliani. La Corte ha innanzitutto specificato che il diritto sancito dall’art. 2 è uno dei più fondamentali della convenzione, in relazione al quale non sono consentite deroghe; le circostanze nelle quali può giustificarsi la privazione della vita, sono pertanto di stretta interpretazione, e la clausola della assoluta necessità importa una verifica più stringente di quanto richiesto dalla clausola della necessità in una società democratica che accompagna le possibili limitazioni di altri diritti stabiliti dalla convenzione.

La Corte ha poi specificato che l’articolo in questione copre non solo situazioni nei quali la privazione della vita è intenzionale, ma anche quelle situazioni nelle quali l’uso legittimo della forza possa risultare, non intenzionalmente, nella morte del titolare del diritto. Allo stesso tempo, dal punto di vista della verifica della legittimità dell’uso della forza, il parametro utilizzato comprende anche la verifica, ex ante e dal punto di vista in buona fede dell’agente, della situazione fattuale nella quale questi si trova a far uso della forza.

Nel caso in esame, la Corte ha basato le proprie conclusioni su quelle dei magistrati inquirenti. Ha così concluso che, in concreto, fosse stato adeguatamente accertato che ricorrevano tanto le circostanze per il riconoscimento della legittima difesa, quanto quelle per riconoscere legittimo l’uso ’elle armi da parte dell’agente, considerata la situazione ambientale, il numero ed il contenuto dei dimostranti, la posizione e la condizione dell’agente e degli altri appartenenti alle forze dell’ordine coinvolti nell’evento.

Conseguentemente, ha concluso nel senso che l’uso della forza, pur altamente indesiderabile, non aveva ecceduto i limiti dell’assoluta necessità e che pertanto, sotto il primo profilo invocato dai ricorrenti, non vi fosse stata lesione dell’art. 2 Cedu”

Dott.ssa Benedetta Cacace


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