PARCELLA DELL’AVVOCATO E PARERE DI CONGRUITÀ RILASCIATO DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE

SULLA VALIDITÀ DEL PARERE DI CONGRUITÀ RILASCIATO DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE SULLA PARCELLA DELL’AVVOCATO

Per l’avvocato che sia creditore del proprio cliente e che voglia recuperare il compenso spettante, per quanto riguarda le prestazioni svolte nell’ambito dell’attività per cui ha ricevuto incarico, l’art. 636 cpc, stabilisce che la domanda deve essere accompagnata dalla parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale. Al di fuori del predetto ambito, la necessità del parere non è in funzione del procedimento giudiziale adottato, camerale o a cognizione piena, né dipende dal fatto che il credito sia azionato dal professionista stesso o dai suoi eredi, ma è dettata dalla tipologia del corrispettivo, nel senso che è indispensabile soltanto se esso non possa essere determinato in base a tariffe, ovvero queste, pur esistenti, non siano vincolanti. Ne consegue che il predetto parere è necessario solo quando oggetto di liquidazione siano attività non rientranti nelle previsioni della tariffa professionale, per le quali la liquidazione debba avvenire opera del giudice. Cass. 5 gennaio 2011, n. 236.

Il parere di congruità che il Consiglio dell’Ordine rilascia all’avvocato iscritto per la liquidazione dei propri compensi in sede giudiziale è considerato un atto amministrativo insuscettibile di disapplicazione da parte del giudice chiamato alla liquidazione dei compensi e che, per la sua natura, è sindacabile solo dal giudice amministrativo.

A tal riguardo, appare opportuno far richiamo ai costanti precedenti della Corte di Cassazione che, contrariamente a quanto sopra, hanno riaffermato il principio per il quale, in materia di liquidazione delle competenze professionali dell’avvocato, il giudice non è vincolato al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine (cfr. ex multis Cass. n. 10428/2005), dal quale può discostarsene, indicando sia pure sommariamente, le voci per le quali ritiene il compenso non dovuto oppure dovuto in misura ridotta (Cass. n. 13743/2002).

Ed, infatti, mentre ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c., la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione e impone al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice di merito di verificare le singole prestazioni svolte dal professionista stesso e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella.

Orbene, il parere del consiglio dell’Ordine attesta unicamente la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata, ma non prova ex se l’effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, giacché la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta congrua non esclude né inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore (Cons. Stato, 8 ottobre 2013, n. 4942).

Tra l’altro, In virtù dell’orientamento giurisprudenziale più accreditato, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attività, è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur” senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 230/2016), essendo altresì specificato che la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell’ingiunzione, non ha – costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista – valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettività ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste. Si ribadisce, inoltre, che al fine di determinare il suddetto onere probatorio a carico del professionista e di investire il giudice del potere – dovere di verificare la fondatezza della contestazione mossa dall’opponente, non è necessario che quest’ultima abbia carattere specifico, essendo sufficiente anche una contestazione di carattere generico (così Cass. n. 14556/2004).

Senza contare che il parere di congruità dell’Ordine degli avvocati, per la liquidazione di onorari professionali, è illegittimo nel caso in cui sia stato espresso senza che, alla parte nei confronti della quale il parere stesso è destinato a produrre effetti, sia stata preventivamente effettuata la comunicazione di avvio del relativo procedimento amministrativo, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990 e s.m.i.

Avv. Alessandra Di Raimondo


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