Lavoratori dello spettacolo? Rinvio alla Corte di Giustizia

Vengono posti dei quesiti alla Corte di Giustizia Europea con riferimento alla legittimità delle disposizioni relative al sistema pensionistico dei lavoratori dello spettacolo.

La Corte di Cassazione si è di recente chiamata ad interpretare la normativa dettata dall’ordinamento volta a regolare il sistema pensionistico dei lavoratori dello spettacolo.

La vicenda ha interessato alcuni tersicorei e ballerini alle dipendenze di una Fondazione di Teatro e d’Opera.


Il caso affrontato dai Giudici.

Il processo che andremo ad analizzare ha interessato alcuni lavoratori impiegati presso una Fondazione teatrale italiana. I protagonisti della vicenda erano stati licenziati dall’ente presso cui lavoravano in quanto avevano raggiunto i limiti di età.

Il licenziamento, secondo i lavoratori, era illegittimo perché era intervenuto nonostante avessero esercitato, nel termine dei tre mesi precedenti al raggiungimento dell’età, il diritto d’opzione di proroga del termine.

Il Giudice di prime cure aveva accolto la tesi del ballerini e li aveva, conseguentemente, reintegrati nel loro posto di lavoro.

L’ordinanza, però, proposto ricorso al Giudice dell’opposizione e l’esito di questo giudizio è stato per una totale riforma dell’atto impugnato.

Il provvedimento, a sua volta, è stato reclamato parzialmente dalle parti ed il Giudice dell’impugnazione che motivava la propria decisione in favore della Fondazione articolando un complesso ragionamento attorno, anche, la normativa comunitaria.


La normativa di riferimento per i lavoratori dello spettacolo.

La Corte distrettuale ha posto a fondamento della propria decisione l’art. 3 settimo comma del decreto legge n. 64 del 2010, convertito dalla Legge n. 100/2010. La disposizione in esame prevede che i lavoratori dello spettacolo, appartenenti alla categoria dei ballerini, un’età pensionabile omogenea tra uomo e donna. Questa è così fissata al compimento del quarantacinquesimo anno di età. La norma prevede che si possa esercitare un diritto d’opzione rinnovabile annualmente per due anni consecutivi, al fine di posticipare il limite suindicato.

Tanto considerato, la norma dispone che resta fermo il limite massimo di pensionamento di vecchiaia:

> 47 per le donne;

> 52 per gli uomini.

Le ipotesi di conflitto con la normativa comunitaria erano state giudicate prive di rilevanza dai Giudici di merito.

Secondo la Corte, la ratio della disposizione può essere così definita:

“[…] ispirata ad un’esigenza di introdurre modalità graduali di accesso alla nuova età pensionabile per i lavoratori che, prossimi al nuovo limite di pensionamento, erano maggiormente esposti al repentino cambiamento in senso restrittivo del pregresso regime di permanenza al lavoro […]”.


Il ricorsi alla Corte di Cassazione da parte dei lavoratori dello spettacolo e dalla Fondazione.

Secondo i lavoratori, viene rilevato che il discrimine introdotto dal riportato articolo 3 settimo comma, vulnera il principio di parità di trattamento tra uomo e donna. Il principio de quo viene individuato nella normativa comunitaria e, più precisamente, nell’art. 157 TFUE che sancisce il principio di parità retributiva tra uomo e donna.

Anche la Fondazione ha sollevato ricorso avanti la Corte di Cassazione, articolato in quattro motivi attinenti alla violazione a falsa disciplina di numerose disposizioni attinenti le modalità d’esercizio del diritto d’opzione relativa al prolungamento della permanenza in servizio.


La decisione della Corte di Cassazione di rinviare alla Corte di Giustizia Europea.

Inizialmente la posizione espressa dalla Corte di Cassazione è stata quella di riunire i ricorsi presentati dalle parti interessate al procedimento.

In secondo luogo, ha subito sancito che il primo motivo di ricorso promosso dalla Fondazione è irrilevante: non consente alla Corte alcun controllo di legittimità.

Invece, per quanto concerne il settimo comma dell’art. 3 del decreto legge n. 64/2010, ritene la Corte, che potrebbe porsi in conflitto con il principio di non discriminazione. Infatti, è evidente il riferimento all’età contenuto nella norma in analisi. Il contrasto si concretizzerebbe, pertanto, nella violazione degli articoli 21 e 23 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione.

La Cassazione non ha individuato unicamente il descritto contrasto.

Infatti, proseguendo la sua riflessione è giunta a ritenere in possibile conflitto la norma richiamata con l’art. 157 TFUE, il quale sancisce il principio di parità retributiva fra uomini e donne. Inoltre, sempre sul punto, emergerebbe un contrasto con la direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio di pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione ed impiego.


Conclusioni.

Concludendo l’analisi del provvedimento emesso dalla Cassazione il 9 marzo 2017, si è disposto di sollevare, ex art. 267 TFUE, questione pregiudiziale sull’interpretazione del principio di non discriminazione in base al sesso. Principio espresso concretamente dalla direttiva 2006/54/CE e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

Si dovrà attendere, quindi, che la Corte sovranazionale disponga rispetto alle questioni poste dai nostri Giudici di Legittimità.

Avv. Jacopo Marchini