LA MANCATA DICHIARAZIONE DEI REDDITI IMPEDISCE L’ACCESSO ALLA MESSA ALLA PROVA

IN MATERIA DI REATO DERIVANTE DALL’OMESSA DICHIARAZIONE DEI REDDITI,DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DELLA C.D. RIFORMA CARTABIA CHE RITIENE CONTRARIAMENTE AL PASSATO APPLICABILE LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO CON MESSA ALLA PROVA ANCHE PER IL DELITTO IN QUESTIONE, NON SI PUÒ ACCEDERE AL DETTO ISTITUTO IN MANCANZA DI PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI, PERCHÉ IL BENEFICIO DELL’ESTINZIONE DEL REATO, CONNESSO ALL’ESITO POSITIVO DELLA PROVA, PRESUPPONE LO SVOLGIMENTO DI UN “ITER” PROCESSUALE ALTERNATIVO ALLA CELEBRAZIONE DEL GIUDIZIO

 

Con la recente pronuncia n. 23954 del 5 giugno 2023, la III Sezione penale della Suprema Corte ha chiarito che, in materia di reato derivante dall’omessa dichiarazione dei redditi (ex art. 5, D.Lgs. n. 74/2000), dopo l’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia (D.Lgs. n. 150/2022), che ritiene contrariamente al passato applicabile la sospensione del processo con messa alla prova anche per il delitto in questione, non si può accedere al detto istituto in mancanza di presentazione della dichiarazione dei redditi, perché il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un “iter” processuale alternativo alla celebrazione del giudizio.

Ai sensi dell’art. 168 bis c.p:

Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore. La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta. La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108.

Nella fattispecie sottesa alla pronuncia in esame, la Corte d’appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado che aveva prosciolto solo parzialmente un uomo dal reato di omessa dichiarazione dei redditi e solo per alcune annualità, riducendo la pena irrogata ma confermandone la colpevolezza per l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli altri anni.

L’imputato quindi ricorreva in Cassazione che però rigettava le sue difese, confermando la tesi della   parte di Giurisprudenza che nega la messa alla prova “parziale”.

Per una buona riuscita della messa alla prova, occorre che si possa ritenere il soggetto totalmente recuperato e non solo parzialmente. La sospensione con messa alla prova non può quindi essere disposta soltanto per alcuni dei reati contestati per i quali sia possibile l’accesso al beneficio, in quanto la messa alla prova tende all’eliminazione completa delle tendenze antisociali del condannato e dunque una rieducazione “parziale” sarebbe incompatibile con le finalità dell’istituto (cfr. Cass. pen., Sez. II, n. 14112 del 12/3/2015).

Quanto alla questione circa il novero dei reati che prevedono l’accesso all’istituto solo dopo la riforma “Cartabia”, la Suprema Corte ha ritenuto che, per quel che interessa in tal sede, pur essendo in tal caso in astratto ammissibile la sospensione del processo con messa alla prova anche per il delitto di cui all’ art. 5, D.Lgs. n. 74/2000, nel caso di specie, non solo non era stata presentata alcuna istanza alla Corte di legittimità, ma, in ogni caso, trova applicazione il principio per cui nel giudizio di impugnazione davanti alla Corte di cassazione, l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’art. 168-bis c.p., perché il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un “iter” processuale alternativo alla celebrazione del giudizio.

Dunque il ricorso veniva dichiarato inammissibile e quindi rigettato.

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Cass. Pen. n. 23954 del 5 giugno 2023

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