LA LIQUIDAZIONE DELLE SPESE DEL GIUDIZIO: MAI AL DI SOTTO DEI MINIMI TARIFFARI

Il giudice non ha la possibilità di liquidare le spese di giudizio in misura inferiore ai minimi tariffari

Anche quando il giudice deve procedere alla regolamentazione delle spese, la tariffa mantiene la propria efficacia

Il D.L. n. 223/2006, convertito dalla L. n. 248 del 2006 ha previsto che devono considerarsi abrogate tutte quelle disposizioni che prevedono per le attività libero professionali ed intellettuali l’obbligatorietà di tariffe minime o fisse.

Ad ogni modo, è stato stabilito che il giudice, nello stabilire la liquidazione delle spese giudiziali e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocino, deve farlo sulla base della tariffa professionale.

V. anche

L’abolizione dei minimi tariffari opera nei rapporti tra cliente e professionista, ma l’esistenza della tariffa mantiene la sua efficacia nel caso in cui il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese del giudizio.

Ad oggi, nei rapporti intercorrenti tra professionista e cliente vige il principio sancito dall’articolo 2233 del codice civile, il quale dispone che:

“Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice.

In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.

I giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29594 dell’11/12/2017 hanno confermato che deve essere

“fatta applicazione del principio secondo cui il giudice del merito non può liquidare le spese di giudizio in misura inferiore ai minimi disposti dalla tariffa forense”,

pertanto il giudice, fermo restando il caso della parziale soccombenza, in cui vi è compensazione delle spese, non può liquidare i compensi di causa senza tenere conto dei minimi tariffari.

La vicenda origina da alcune opposizioni ad ordinanza-ingiunzione accolte dal Giudice di Pace Romano, annullate e rese inefficaci dal medesimo, con condanna alla refusione delle spese giudiziali, liquidate in 180 euro.

L’avvocato aveva proposto appello contro detta pronuncia, limitatamente alla liquidazione delle spese processuali, ma il Tribunale di Roma, aveva rigettato il gravame sulla scorta di una presunta parziale soccombenza

“essendo state annullate solamente una parte delle cartelle esattoriali”,

da ritenersi implicita, nonostante

“il Giudice di pace non abbia espressamente dichiarato la compensazione parziale delle spese, può ritenersi che tale circostanza sia alla base della liquidazione nella misura tale qual è stata”.

La questione giunge innanzi ai giudici della Corte di Cassazione, i quali evidenziano che:

“emerge per tabulas dalla piana lettura della sentenza di primo grado che il Giudice di Pace ha accolto in toto la domanda del ricorrente, annullando e rendendo prive di efficacia tutte e dodici le ordinanze ingiunzioni opposte”.

Detto ciò, vengono meno tutti i presupposti indicati nella sentenza impugnata, inerenti all’ipotetica sussistenza dei motivi di parziale compensazione delle spese, in definitiva,

“va fatta applicazione del principio secondo cui il giudice del merito non può liquidare le spese di giudizio in misura inferiore ai minimi disposti dalla tariffa forense”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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