IL PROCEDIMENTO INSTAURATO EX LEGGE PINTO SI CONFIGURA COME CAUSA ORDINARIA AI FINI DELL’INDENNIZZO

La Corte di Cassazione, Sez. seconda civile, con Ordinanza n. 28900 del 12/11/2018 chiarisce che, il giudizio di equa riparazione che si svolge presso le Corti di appello ed, eventualmente, in sede di impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione, si configura come un ordinario processo di cognizione soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli.

La legge numero 89 del 24 marzo 2001, meglio conosciuta come Legge Pinto, è una legge che riconosce a coloro che hanno dovuto affrontare un processo di durata “irragionevole”, quindi oltre quelli che sono considerati i tempi “ordinari” della giustizia, la possibilità di esperire un procedimento volto ad ottenere un’equa riparazione per il danno patrimoniale o non patrimoniale subito.

La prima domanda che sorge spontanea è, quali sono i tempi ordinari della giustizia e, quindi che cosa si intende per ragionevole durata del processo.

Nell’ambito del procedimento ordinario di cognizione, sono considerati tempi ragionevoli secondo la suddetta normativa:

  • 3 anni per il primo grado di giudizio;
  • 2 anni per il secondo grado i giudizio;
  • 1 anno per il grado di legittimità.

Per i procedimenti di esecuzione forzata:

  • 3 anni;

Per le procedure concorsuali

  • 6 anni.

In ogni caso, la durata è ragionevole, quando la pronuncia definitiva ed irrevocabile, viene contenuta nel termine di 6 anni.

I fatti di causa

Premessi brevi cenni sull’argomento, nel caso che qui ci occupa, l’odierno istante, chiedeva alla Corte d’Appello, con ricorso ritualmente depositato il 7 ottobre 2010, il riconoscimento, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, dell’equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione introdotto dinanzi alla Corte di appello di Roma con ricorso depositato nel mese di aprile 2006, concluso con decreto di parziale accoglimento depositato nel mese di novembre 2007 e definito, a seguito di ricorso per cassazione notificato nel mese di dicembre 2008, con sentenza di cassazione e contestuale decisione nel merito di questa Corte depositata nel mese di aprile 2010. Il procedimento era durato complessivamente, per lo svolgimento di due gradi di giudizio, dal mese di aprile 2006 al mese di aprile 2010.

L’adita Corte di Appello, con decreto depositato il 13 marzo 2012, dichiarava la domanda inammissibile, ritenendo che non fosse esperibile il rimedio di cui alla legge n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti riguardanti la denunciata violazione della durata ragionevole dei giudizi di equa riparazione, non discendendo tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo, l’eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ai sensi della suddetta legge, compensabile dal giudice del procedimento. Avverso il suddetto decreto, proponeva ricorso per cassazione il ricorrente, con atto notificato il 27 ottobre 2012, sulla base di un unico motivo. L’intimato Ministero della Giustizia non resisteva con controricorso, ma si costituiva ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Motivi della decisione

Con il dedotto motivo il ricorrente denuncia (ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e degli artt. 6, paragrafo primo, 13 e 41 della C.E.D.U., nonché dell’art. 111 Cost, sul presupposto della ritenuta illegittimità del decreto impugnato avuto riguardo alla decisiva argomentazione — già recepita in altre decisioni della Suprema Corte — in base alla quale la legge n. 89 del 2001 non consente in alcun modo di distinguere i procedimenti di equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli, dunque, al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Costituzione italiana.

Il motivo, secondo la Corte di Cassazione, è fondato e deve essere accolto.

Questa Corte ha già avuto modo ai pronunciarsi più volte in ordine all’applicabilità del procedimento disciplinato dalla legge n. 89 del 2001 ai procedimenti introdotti sulla base della legge stessa, per i quali deve ritenersi predicabile l’operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime indennitario in caso di sua violazione (v. Cass. n. 5924 del 2012; Cass. n. 5925 del 2012; Cass. n. 5455 del 2013 e Cass. n. 6981 del 2013).

A tal proposito è stato evidenziato che il giudizio di equa riparazione, che si svolge presso le Corti di Appello ed, eventualmente, in sede di impugnazione dinanzi a questa Corte, si configura come un ordinario processo di cognizione soggetto, in quanto tale, all’esigenza di una definizione in tempi ragionevoli.

Deve, anzi, ritenersi tanto più presente per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto,

la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza ed un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti regolati dalla legge n. 89 del 2001”.

Dunque, non appare condivisibile l’assunto che, il giudizio dinanzi alla Corte di appello e l’eventuale giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea nel caso in cui, nell’ordinamento interno la parte interessata non ottenga un’efficace tutela dell’indicato diritto fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela adeguata ed incisiva sempre che, naturalmente, si svolga esso stesso nell’ambito di una ragionevole durata.

Avv. Alessandra Di Raimondo


VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER