FACCIAMO CHIAREZZA SULL’IVA DELL’IMPORTAZIONE

Iva all’importazione, è un diritto di confine o un tributo interno?

Cerchiamo di fare chiarezza su tale questione assai dibattuta

Dall’analisi dei principali ordinamenti giurisprudenziali e dottrinali in materia, e come di recente affermato anche negli ultimi arresti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione, non appare plausibile sostenere in maniera univoca, da un lato, come l’IVA all’importazione sia un tributo interno, e dall’altro, come l’evasione fraudolente si questo tributo rappresenti un’ipotesi distinta ed autonoma rispetto a quella del reato di contrabbando, come regolato nel Testo Unico delle Leggi Doganali, ossia il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 TULD).

Il contesto di riferimento:

Al fine di procedere ad una corretta configurazione del rato di contrabbando, in riferimento alla fattispecie di evasione dell’IVA all’importazione, non può prescindersi dall’individuazione del contesto normativo di riferimento.

Generalmente, per quanto concerne la disciplina dell’IVA all’importazione, l’articolo 70, primo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 dispone che:

“L’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”.

La giurisprudenza di legittimità ha da tempo fatto richiamo al TULD al fine di individuare la normativa applicabile, pur non essendovi, nella normativa del qua, un rinvio espresso a disposizioni analiticamente individuate.

Il titolo VII del TULD disciplina le violazioni doganali, facendo differenza tra i reati di contrabbando da una parte, oggi sanzionati in via amministrativa, e contravvenzioni ed illeciti amministrativi dall’altro.

In riferimento alle ipotesi di contrabbando, il legislatore ha previsto una moltitudine di fattispecie criminose, divise in base alla tipologia delle merci contrabbandate, oltre che in base al luogo o alle modalità della condotta tipica del contrabbando.

Gli elementi costitutivi del reato di contrabbando sono: la sottrazione delle merci al controllo doganale e l’evasione dei diritti di confini alla dogana; sul piano dell’elemento psicologico, la necessaria presenza del dolo.

Volendo dare una definizione del reato di contrabbando, può dirsi che esso consista nella violazione di un dazio doganale, commessa da chi, con dolo, sottrae merci estere al sistema di controllo istituito per l’accertamento e la riscossione dei diritti di confine.

L’articolo 34 TULD definisce i diritti doganali come:

“Tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali”.

All’interno dei diritti doganali, la stessa norma individua i diritti di confine nei:

“Dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci di importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato”.

Dal solo dato letterale della norma appare chiaro che i diritti di confine rappresentano una species del genus dei diritti doganali, pur avendo funzioni differenti.

La riscossione dei diritti di confine pone la merce in posizione di libera pratica comunitaria, mentre la riscossione dei diritti doganali tende a nazionalizzare la merce estera, con il meccanismo dell’importazione.

Quindi, il reato di contrabbando trova il suo fulcro nell’inosservanza dei diritti di confine.

Si discute anche se la sottrazione di un bene al pagamento dell’IVA all’importazione possa qualificarsi come contrabbando. Sul punto, è stato disposto, secondo un orientamento fino a qualche tempo fa univoco e costante della giurisprudenza di legittimità, che l’introduzione clandestina di merce nel territorio dello Stato, senza il pagamento dell’IVA, non configura il delitto di contrabbando previsto e punito dall’art. 292 TULD, il quale si riferisce al pagamento dei diritti di confine, bensì il differente reato di evasione dell’IVA all’importazione, ex art. 70 del D.P.R. n. 633/1972.

In altre parole, l’evasione dell’IVA all’importazione rappresenterebbe un reato distinto ed autonomo rispetto a quello di contrabbando. Questa tesi si fonda sull’assunto per cui l’IVA all’importazione costituisce un tributo interno, al pari cella normale IVA sugli scambi nazionali, e non un diritto di confine.

È un orientamento che nasce dalla giurisprudenza comunitaria, la quale, fin dalla fine degli anni ottanta, ebbe a sottolineare che l’IVA all’importazione, richiesta dallo Stato italiano, ha natura di tributo interno, e può considerarsi compatibile con l’ordinamento comunitario e con il principio di neutralità fiscale solamente alla duplice condizione che:

1) la merce importata non sia soggetta a doppia imposizione;

2) l’infrazione relativa all’IVA all’importazione non sia sanzionata più severamente di quella relativa agli scambi interni.

Sul piano della prassi amministrativa, deve essere evidenziato che l’Agenzia delle Dogane, con la circolare n. 10/D del 4 marzo 2003, in riferimento al condono tombale di cui alla l. n. 289/2002, ha affermato esplicitamente che quest’ultimo si può applicare solamente ai tributi nazionali, fra cui è stata fatta rientrare l’IVA all’importazione; sono invece stati esclusi i dazi, i quali rappresentano una risorsa propria comunitaria.

Diversamente, l’IVA all’importazione costituisce un tributo di competenza del bilancio nazionale dello Stato Italiano, mentre i dazi non possono essere oggetto di atti di disposizione da parte del nostro Legislatore.

Quindi, sarebbe inammissibile che una risorsa, che lo Stato non può disporre, possa formare oggetto di condono fra l’Italia e il contribuente italiano.

Il primo comma dell’art. 34 TULD dispone che sono diritti doganali tutti quelli che la Dogana è tenuta a riscuotere in forza di legge.

Pertanto, se l’IVA dovesse essere compresa tra le imposte di consumo, andrebbe qualificata tra quei diritti di confine che costituiscono voci proprie del bilancio comunitario indisponibili per l’Erario Italiano.

L’orientamento della Suprema Corte di Cassazione è che:

“L’imposta sul valore aggiunto non può essere considerata alla stregua di un’imposta di consumo in favore dello Stato ai sensi del capoverso dell’art. 34 D.P.R. n. 43/1973 perché l’art. 1 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che essa si applica sulle importazioni da chiunque effettuate, e non già sui soli consumi”.

La tesi volta ad escludere che l’IVA debba ritenersi un’imposta di consumo ex art. 34 TULD, come tale non rientrante fra i diritti di confine disciplinati dalle disposizioni del D.P.R. n. 43/1973, bensì avente natura di tributo interno, ha condotto alla conclusione per cui l’evasione dell’IVA, dovuta sulle operazioni di importazione, costituirebbe un reato autonomo, che può concorrere con quello di contrabbando, senza essere assorbito dal predetto reato doganale.

Fino a qualche tempo fa, l’opinione giurisprudenziale prevalente era schierata a sostegno di tale tesi, avendo i due prelievi, differenti funzioni; da un lato l’introduzione delle merci nel territorio italiano, al fine di equiparare fiscalmente i prodotti esteri a quelli nazionali similari; dall’altro lato l’accertamento della soggezione della merce estera alla generale imposizione IVA.

Secondo un differente orientamento della giurisprudenza, l’evasione dell’IVA all’importazione equivale ad evasione fraudolente di un diritto di confine.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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