SE IL CERTIFICATO INDICA LA MALATTIA AL DATORE DI LAVORO…E’ RISARCIBILE LA PRIVACY VIOLATA?

Violazione dei dati sensibili Se il certificato indica la malattia al datore di lavoro….è risarcibile la privacy violata?

Corte di Cassazione Civile, sez. III, ordinanza n. 2367 del 31 gennaio 2018

I giudici di Cassazione, terza sez. civile, con l’ordinanza n. 2367 del 31/01/2018 sono tornati ad occuparsi di una questione molto delicata, rappresentata dalla violazione della normativa sulla privacy in merito ai dati sensibili ed in particolare ai dati sanitari anche se non sempre a tale violazione consegue il risarcimento di un danno.

Nel caso in esame, il ricorrente impugna una sentenza della Corte d’Appello di Napoli con la quale era stato confermato il rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di un medico fiscale, ritenuto responsabile dai danni subiti e conseguenti nell’invio al preside del Liceo Ginnasio Statale presso il quale insegnava lettere, della copia del referto medico destinata al datore di lavoro in cui era stato riportato che l’insegnante era “in attesa di consulenza psichiatrica”.

I giudici della Suprema Corte ritengono certamente sussistente la violazione in materia di privacy ai danni del ricorrente, ma in realtà, per quanto la condotta del medico sia stata censurabile, la Corte sostiene che da tale comportamento non sia comunque configurabile l’esistenza di un danno nei riguardi del ricorrente.

La Corte sostiene che almeno due motivi del ricorso contengono rilievi fondati sulla complessiva censurabilità della condotta del medico fiscale, che in sé, poteva essere portatrice di danni morali al ricorrente: con il primo motivo il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe erroneamente interpretato la L. n. 300 del 1970, art. 5 ed il D.M. 15 luglio 1986 ritenendo legittima ed irrilevante l’annotazione sul referto medico della circostanza di essere in attesa di una consulenza psichiatrica; con l’altro motivo si duole del fatto che la Corte aveva erroneamente escluso che la condotta del medico fiscale, illegittima, avesse arrecato una lesione all’immagine dell’insegnante.

Secondo i giudici di Cassazione, la prima censura non è utile all’accoglimento del ricorso ed impone anche la reiezione dell’altro motivo in esame.

L’articolo 6 del D.M. 15 luglio 1986 prevede che:

“Al termine della visita, il medico consegna al lavoratore copia del referto di controllo, ed entro il giorno successivo, trasmette alla sede dell’istituto nazionale della previdenza sociale le altre tre copie destinate rispettivamente, la prima, senza indicazioni diagnostiche, al datore di lavoro o all’Istituto previdenziale che ha richiesto la visita, la seconda agli atti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, la terza per la liquidazione delle spettanze al medico e per assicurare un flusso periodico di informazioni sullo sviluppo del servizio e sulle relative risultanze”.

La divulgazione delle informazioni sensibili dalla quale sarebbe occorso il danno dedotto non è riconducibile alla condotta del medico fiscale che si è solamente limitato a trasmettere alla scuola la copia del referto di competenza del datore di lavoro.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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