ATTENZIONE AI COMMENTI OFFENSIVI SUI BLOG!
CONDANNATO IL BLOGGER PER DIFFAMAZIONE CHE PUBBLICA UN COMMENTO OFFENSIVO ANCHE SE ANONIMO
Ai sensi dell’art. 595 c.p.
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.”
Rispetto all’ingiuria, che era invece prevista e punita dall’art. 594 c.p., oggi depenalizzata, la disposizione riportata persegue la condotta di colui che offende persone non presenti, che non sono quindi direttamente in grado di percepire l’offesa.
Il legislatore mira con tale disposizione a proteggere la reputazione dell’individuo, intesa quale considerazione che il mondo esterno ha del soggetto stesso.
Occorre che vi siano almeno due persone, oltre all’agente ed alla persona offesa, in grado di percepire le parole diffamatorie anche se in tempi diversi (ad esempio con il passaparola).
Il comportamento incriminato, può essere realizzato con qualsiasi mezzo e in qualunque modo ma, se realizzato con determinate modalità, si ritiene ancor più grave.
Invero, i commi 2, 3 e 4 della norma in esame, si occupano di circostanze aggravanti speciali che implicano, al loro ricorrere, un inasprimento della pena.
Ai sensi del comma 2, in primis, la diffamazione è aggravata se il soggetto agente attribuisce alla persona offesa un fatto determinato, ovverosia un fatto puntualmente individuato nelle sue circostanze di tempo o di luogo o nelle modalità essenziali.
Ai sensi del comma 3, invece, il reato è aggravato nel caso in cui la comunicazione sia realizzata attraverso il mezzo della stampa, con un altro mezzo di pubblicità, oppure con un atto pubblico.
La diffamazione risulta altresì aggravata, ai sensi del comma 4, qualora l’offesa sia recata ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, oppure ad una sua rappresentanza o ad un’Autorità costituita in collegio.
In materia risulta interessante la recente pronuncia della V sezione della Corte di Cassazione penale del 21/09/2022, n.45680 per
cui: “Risponde di diffamazione il gestore di un blog che consente la pubblicazione, e che rimanga visibile nel suo blog personale, il commento di un utente non identificato in cui si accusa di vicinanza alla mafia una società ed i suoi esponenti”
In particolare, nella vicenda sottesa alla pronuncia in esame accadeva che un blogger ricorreva in Cassazione dopo essere stato condannato in primo ed in secondo grado per aver consentito che venisse pubblicato e rimanesse sul suo blog, il commento di un utente che accusava una società di essere vicina alla mafia la società.
Così, avverso le dette pronuncia, il blogger proponeva ricorso in Cassazione fondando le proprie ragioni su ben 8 motivi che venivano però rigettati in blocco dagli ermellini.
Confermava invero la Suprema Corte che l’amministratore del blog è colui che gestisce un mezzo che consente a terzi di interagirvi tramite la pubblicazione anche in forma anonima di contenuti e quindi, il blog, pur essendo uno strumento di informazione non professionale, è capace di diffondere tali contenuti.
Già in passato è stata ritenuta integrata la diffamazione rispetto a contenuti di blog o di altri strumenti di pubblicità via internet (cfr. sez. 5, n. 50187 del 10/5/2017, Giacalone, rv. 271434; sez. 5, n. 27675 del 7/6/2019, Carchidi, rv. 276898; Sez. 5 Sentenza n. 13979 del 25/01/2021) e, con specifico riguardo alla figura del blogger, la suprema Corte aveva già ritenuto corretta la responsabilità rilevata dal Giudice di merito per la diffamazione aggravata (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 12546 del 08/11/2018).
Ancora, rilevavano gli ermellini che, rispetto alle pubblicazioni diffamatorie di soggetti diversi dagli autori dei post o commenti, l’amministratore di un sito internet è stato ritenuto responsabile per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provvede tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell’altrui reputazione e consente l’ulteriore diffusione dei commenti diffamatori. (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 12546 del 08/11/2018 Ud. (dep. 20/03/2019) Rv. 275995).
Con riferimento all’offesa in sé, la Corte ha ricordato che è stato ampiamente ritenuto che la parola “mafioso” assume carattere offensivo e infamante ed è capace di integrare il reato di diffamazione se comunicata a più persone per definire il comportamento di taluno, in assenza di qualsiasi elemento che ne suffraghi la veridicità (cfr. Sez. 5 -, Sentenza n. 39047 del 29/05/2019 Ud. (dep. 24/09/2019) Rv. 2768559
In conclusione quindi gli ermellini rigettavano il ricorso, confermando la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di merito.
Scarica il testo della sentenza
Cassazione penale sez. V, 21.09.2022, n.45680