APPELLO ED ONERE DELLA PROVA

L’appello non determina alcuna inversione dell’onere della prova, dato che non impone al convenuto soccombente la dimostrazione dell’insussistenza dei fatti costitutiva della domanda attorea, ma solamente una precisa e argomentata critica della decisione

Corte di Cassazione, terza sezione civile, sentenza n. 19529 del 2019

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 19529 del 2019 ha chiarito che l’appello, quale secondo grado di giudizio, non determina alcuna inversione dell’onere della prova, visto che non comporta in capo al convenuto soccombente in primo grado l’onere di dimostrare l’insussistenza dei fatti vantati dall’attore.

Nel caso di specie il Giudice di Pace, pronunciando giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, revocato quest’ultimo, aveva condannato l’opponente al pagamento in favore dell’ingiungente di una somma da imputarsi ai servizi idrici forniti a vantaggio dell’immobile di costui.

L’appello interposto dalla parte soccombente era stato rigettato dal Tribunale sul rilievo che né la parte appellata né l’appellante avevano prodotto i documenti posti a base della pretesa.

Il Tribunale aveva richiamato il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza n. 3033 secondo il quale:

“nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata. Ne consegue che l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d’appello, e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale, di attore o convenuto, assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l’appellante si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame”.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione, hanno chiarito che con l’impugnazione della sentenza del giudice di primo grado l’appellante è tenuto a

“individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il quantum appellatum, formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell’indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate ovvero, per le doglianze afferenti a questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o dell’interpretazione preferibile, nonché, in relazione a denunciati errores in procedendo, nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere”.

Pertanto, l’appello non determina alcuna inversione dell’onere della prova, dato che non impone al convenuto soccombente la dimostrazione dell’insussistenza dei fatti costitutiva della domanda attorea, ma solamente una precisa e argomentata critica della decisione.

Dott.ssa Benedetta Cacace