MANCATA INFORMAZIONE DELLA MALFORMAZIONE DEL FETO: DANNO PSICHICO

La Corte di Cassazione civile, sez. III, con la sentenza n. 25849 del 31 ottobre 2017 ha stabilito che il danno psichico per mancata informazione sulla malformazione del feto è provabile per presunzioni

Il caso di specie:

I genitori del bambino avevano convenuto in giudizio l’unità ospedaliera al fine di richiedere il risarcimento dei danni a seguito dell’invalidità permanente del 100% del neonato partorito, in quanto ritenevano che vi fosse stato un errore diagnostico nella mancata individuazione delle malformazioni presenti nel feto al momento dell’ecografia e la conseguente omessa informazione che aveva impedito di esercitare il diritto riconosciuto alla madre, ex art. 6 della l. n. 194 del 1978 di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, con conseguenze gravi sul piano psichico e sulla qualità della vita.

V. anche

Il Tribunale aveva accolto la domanda del danno iure proprio dei genitori e aveva rigettato la domanda avanzata per conto del figlio.

Invece, la Corte d’Appello aveva escluso il diritto dei genitori al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita di chance.

La decisione della Corte di Cassazione:

In ambito di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce al fine di domandare il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza nel caso in cui fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale.

Tale onere può essere assolto tramite presunzioni, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale.

V. anche

La legge n.194 del 1978, all’articolo 6 lett. b legittima l’eccezionale facoltà di interrompere la gestazione, dopo i primi 90 giorni di gravidanza, solamente in caso di

“rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che creino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

Non essendovi pericolo della vita, questa decisione poteva essere adottata solamente entro i primi 90 giorni di gestazione.

E qui incide il diritto d’informazione della donna, ossia di interrompere la gravidanza nei 90 giorni, per motivi differenti da quelli previsti dall’art. 6, e quindi per anomalie o malformazioni che non incidono sul pericolo della vita.

La scelta di interrompere la gravidanza, poiché concerne ad un fatto psichico è provabile per presunzione, come affermato dalle Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 25767 del 22/12/2015.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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