L’AVVOCATO PUO’ AVANZARE LE PROPRIE PRETESE ECONOMICHE QUANDO LA RICHIESTA SIA STATA DEFINITA CON PROCEDIMENTO ORDINARIO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 68/2018 ha disposto che è nullo il giudizio se è avvenuto innanzi ad un giudice monocratico

Con la recentissima sentenza n. 68 del 2018, i giudici della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’avvocato può avanzare le proprie pretese economiche in funzione delle prestazioni rese al cliente, nel caso in cui la richiesta sia stata definita con un provvedimento ordinario.

La Corte con tale sentenza ha evidenziato che tale procedimento è l’unico previsto e consentito per la definizione di tali questioni, pertanto, in tal caso, l’intero giudizio deve concludersi con un provvedimento che, anche se adottato in forma di ordinanza, ha valore di sentenza, impugnabile solamente con l’appello.

Da ciò si desume la nullità del provvedimento impugnato in quanto reso in forma monocratica piuttosto che in forma collegiale.

All’interno della sentenza, si legge anche che in tema di liquidazione dei diritti e onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi, contenute nel DM n. 238 del 14/2/1993 prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all’invio della parcella.

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Tuttavia, se insorge una controversia tra il legale e il cliente in merito all’importo del compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l’ordinanza che conclude il procedimento, in base all’articolo 28 della legge n. 794 del 13 giugno del 1942.

Nel caso in oggetto, i giudici della Corte di Cassazione non hanno ritenuto che vi fossero gli estremi per la temerarietà del ricorso, ma hanno invece ravvisato i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ex articolo 13, comma 1 quater del DPR n. 115/2002.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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