I GIUDICI DEVONO VALUTARE LE CAUSE DELL’OMISSIONE CONTRIBUTIVA

Mancato versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali

Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza n. 20725 del 2018

La Corte d’Appello di Bologna aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Piacenza con la quale era stato giudicato colpevole del reato ex art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463/83, convertito con modificazioni dalla l. n. 638/83, il legale rappresentante di una s.a.s. e pertanto condannato a 20 giorni di reclusione e a 100 euro di multa per non aver versato ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei suoi dipendenti nel 2013.

Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe preso in considerazione le cause che lo avrebbero costretto all’omissione contributiva. La società di cui era il legale rappresentante era stata investita da una grave crisi economica, dovuta sia ad una considerevole riduzione del fatturato che dagli ingenti oneri finanziari che la stessa avrebbe dovuto affrontare, relativi ad investimenti effettuati prima della crisi, insorta nel 2007-2008.

Crisi che il ricorrente avrebbe ampiamente documentato, producendo bilanci e stati patrimoniali, alla quale tuttavia il ricorrente ed il suo socio avrebbero cercato di porre rimedio accendendo mutui ed ipoteche su beni personali pur di garantire il regolare andamento della società.

V. anche

Da quanto esposto ne deriverebbe l’assenza di dolo nel reato contestato.

Secondo gli Ermellini il ricorso è fondato.

Il debito verso il fisco è connesso all’obbligo di erogazione dei compensi ai dipendenti; quando il sostituto d’imposta versa tali erogazioni, sorge quindi a suo carico il dovere di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.

Gli Ermellini specificano che al fine di integrare la fattispecie per quanto riguarda l’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, cioè la coscienza e la volontà di non versare quanto dovuto al fisco. Tale dolo generico può essere escluso dal giudice in considerazione del modesto importo delle somme dovute o dell’episodicità delle inadempienze.

Spesso si è sostenuto che il resto sussisterebbe anche quando il datore di lavoro, in presenza di una grave difficoltà finanziaria abbia preferito pagare i corrispettivi dei suoi dipendenti o pagare la manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di non versare le ritenute all’erario.

Detto ciò, costituisce costante indirizzo di legittimità anche quello secondo il quale, nel reato in oggetto, l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità ad adempiere al debito erariale, quale causa di esclusione della responsabilità penale; a patto che provveda ad allegare tutta una serie di documenti comprovanti la crisi economica. Pertanto serve la prova che non sia stato altrimenti possibile per l’imprenditore reperire le necessarie risorse per adempiere alle obbligazioni tributarie.

Ed in tal senso la Corte riporta

“[…] per costante e condiviso indirizzo di legittimità, per l’integrazione della fattispecie quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo risulta sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato
(per tutte, Sez. U, n. 37425 del 28/3/21013, Favellato, Rv. 255759); dolo generico che, peraltro, può essere escluso dal giudice in considerazione del modesto importo delle somme non versate o della discontinuità ed episodicità delle inadempienze riscontrate (per tutte, Sez. 3, n. 3663 dell’8/1/2014, De Michele, Rv. 259097). Dolo generico che, ancora, è ravvisabile nella consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (tra le molte, Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, Casella, Rv. 258056; Sez. 3, n. 13100 del 19/1/2011, Biglia, Rv. 249917); proprio a questo riguardo, infatti, si è sovente sostenuto che il reato sussiste anche quando il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (tra le molte, Sez. 3, n. 43811 del 10/4/2017, Agozzino, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/9/2007, Tafuro, Rv. 237827).
5. Tutto quanto ribadito, costituisce costante indirizzo di legittimità anche quello per cui, nel reato in esame, l’imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi inconcreto (Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190); occorre, cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).”

Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello non ha fatto buon governo di questi principi e nemmeno buon uso della documentazione in suo possesso e che la decisione si è limitata a sottolineare che:

“Dalla documentazione prodotta dall’imputato emerge con evidenza al massimo una crisi di liquidità, risolta con la consapevole commissione del reato de quo e non con altre possibili soluzioni”.

Per tali motivi la decisione deve essere annullata.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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