SULL’ABBANDONO DEGLI ANIMALI

Vediamo qual è l’orientamento della Cassazione in tema di abbandono degli animali

Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza n. 29894 del 2018

La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 8036 del 2018 aveva condannato a sei mesi di reclusione un uomo per aver maltrattato e seviziato il proprio cane. Nello specifico l’uomo aveva

“sottoposto il proprio cane ad un trattamento incompatibile con la sua indole, tenendolo per vari giorni legato ad una catena all’interno di un box, privo di assistenza igienica, di acqua e di cibo, all’interno del quale vi era una cuccia in cemento non riparata dalle intemperie”.

Secondo gli Ermellini

“il dato secondo il quale il cane sia di per sé un animale gregario, destinato cioè a vivere non isolato ma in comunione con altri soggetti, comunemente rappresentati, data la oramai millenaria consuetudine che tale bestia ha con la specie umana, da uomini nei cui confronti esso non di rado riversa, in una auspicata mutua integrazione, i segni evidenti della propria sensibile affettività, dovendo, peraltro, ricevere dall’uomo, ove sia instaurato con esso un rapporto di proprietà, le necessarie cure ed assistenze”.

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In base all’art. 544-ter del codice penale, che disciplina proprio il maltrattamento agli animali, non occorre, per integrare il reato procurare necessariamente delle lesioni fisiche all’animale, ma è sufficiente anche la mera sofferenza procurata ad esso, in quanto la norma mira a tutelare gli animali in quanto esseri viventi in grado di percepire il dolore, anche nel caso di lesioni comportamentali ed ambientali.

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Con la sentenza n. 29894, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha ancora una volta confermato l’orientamento già espresso in diverse pronunce; incorre nel reato di maltrattamento di animali chiunque lasci per due settimane il proprio cane in giardino durante il periodo estivo, perché partito per andare in vacanza.

A nulla sono valse le difese della donna contro la condanna ed il sequestro preventivo dell’animale, che si era difesa sostenendo che l’animale aveva cibo e acqua e che le sue precarie condizioni di salute non erano dovute allo stato di abbandono ma ad una malattia contratta prima che lei lo adottasse dal canile.

Secondo gli Ermellini

“nella valutazione del fumus commissidelicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti […]”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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