MALTRATTAMENTI AGLI ANIMALI

In quali condizioni scatta il reato di maltrattamenti su animali?

Vediamo quanto disposto dalla Corte di Cassazione penale, sez. III, con la sent. n. 8036 del 20 febbraio 2018

L’articolo 544 ter c.p. enuncia che:

“Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale”.

Nel caso di specie, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano confermato la condanna ex art. 544-ter c.p., secondo comma, nei confronti di un uomo, per aver tenuto diversi giorni il proprio cane legato ad una catena in un box, senza cibo e acqua.

Gli Ermellini intervenuti sulla questione hanno dichiarato come

“sia inconferente rispetto al presente caso, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, l’indagine volta a verificare la sussistenza a carico della bestia, di eventi avversi riconducibili, dal punto di vista nosologico, al concetto di lesione fisica o psichica”.

A nulla rileva ai fini del reato in questione il fatto che dall’istruttoria documentale acquisita agli atti non emergerebbe alcuna lesione a carico del cane.

Infatti nel momento in cui era intervenuto un veterinario, la povera bestia non riusciva nemmeno a reggersi sulle zampe, tanto da avere un collasso. Tale fattispecie integra sicuramente il concetto di sevizie e comportamenti incompatibili con le caratteristiche dell’animale e quindi sia già di per sé fattore tale da costituire l’elemento materiale del reato contestato.

Pertanto, la condotta dell’imputato rientra a pieno titolo nei confini dell’art. 544-ter c.p. e non integra invece il più lieve reato previsto dall’art. 727, secondo comma, c.p.

“Il criterio discretivo fra le due diverse fattispecie appare essere riconducibile al diverso atteggiamento soggettivo dell’agente nelle due diverse fattispecie criminose, essendo la prima connotata dalla necessaria sussistenza del dolo, mentre nel caso del reato di cui all’art. 727 c.p., la produzione delle gravi sofferenze, quale conseguenza della detenzione dell’animale secondo modalità improprie, deve essere evento non voluto dall’agente come contrario alle caratteristiche etologiche della bestia”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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