SULLA VIGILANZA DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA AD OPERA DI AGENZIE INVESTIGATIVE

Le agenzie investigative, per operare lecitamente, non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 L. n. 300/1970, direttamente al datore di lavoro ed ai suoi collaboratori

Corte di Cassazione Civile Sent., Sez. Lav, N. 21621 Anno 2018

La vicenda giudiziaria verte sul licenziamento per giusta causa comminato ad un lavoratore delle rete ferroviaria, che, addetto al sistema di rilevazione delle presenze in servizio, aveva fatto fittiziamente figurare la propria presenza sul posto di lavoro in diverse giornate.

Il licenziamento veniva comminato all’esito di controlli effettuati dalla datrice di lavoro a mezzo di un’agenzia investigativa.

Il lavoratore impugnava la legittimità del licenziamento, ma le sue domande venivano respinte in primo ed in secondo grado, si giunge così di sua iniziativa innanzi alla Cassazione.

Il lavoratore ricorrente, tra le altre cose e per quanto qui di interesse, deduceva

“la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e degli artt. 2 e 3 I. n. 300/1970 per avere la Corte di appello ritenuto legittimo il ricorso ad una agenzia investigativa, sebbene l’accertamento in tal modo compiuto dal datore di lavoro, riguardando il mancato rispetto dell’orario di lavoro o lo scostamento dallo stesso (e cioè non un iiiecito aquiiiano ma un inadempimento contrattuale), fosse consistito in una vera e propria vigilanza sull’attività lavorativa del ricorrente.”

La Corte di Cassazione ritiene il motivo fondato

Gli artt. 2 e 3 L. n. 300/1970 tutelano la libertà e la dignità del lavoratore e delimitano

“la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3), si deve premettere che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalle guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e, quindi, di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica.”

Tuttavia, la Corte precisa

“ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, l’inadempimento essendo anch’esso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma debba limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione”.

Anche con la recente pronuncia della Cass. n. 15094/2018 si è  sottolineaneato in particolare

“come le agenzie di investigazione, per operare lecitamente, non debbano sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 I. n. 300/1970, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori; di conseguenza resta giustificato l’intervento in questione solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.”

Nel caso esaminato, invece, la  Corte di appello ha ritenuto legittimo il ricorso da parte del datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, in una fattispecie di “sistematico allontanamento” del dipendente “dal luogo di lavoro, in assenza di qualsiasi comunicazione” e quindi deve conseguentemente essere cassata.

Avv. Tania Busetto


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