SULLA CONFESSIONE STRAGIUDIZIALE


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Confessare in vivavoce un furto rientra nella confessione stragiudiziale

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 40017 del 2019

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano riconosciuto l’imputato colpevole del reato di furto di un portafogli, condannandolo alla pena di un anno e un mese di reclusione.

Avverso tale decisione, il difensore dell’imputato, ha proposto ricorso in Cassazione lamentando il vizio della motivazione in ordine alla prova della responsabilità dell’imputato, tratta dalla confessione stragiudiziale che questi avrebbe reso per telefono, a fronte della contestazione di furto ricevuta dalla persona offesa, mancando la prova della riconducibilità della confessione all’imputato.

Secondo la ricostruzione dei fatti, l’imputato mentre si trovava nella sala d’attesa dello studio professionale della vittima, aveva sottratto il portafogli a quest’ultima dalla giacca che si trovava appesa sull’attaccapanni.

La vittima si era accorda del furto solamente dopo che l’imputato aveva lasciato lo studio, e una volta contattato telefonicamente, nel corso della conversazione avvenuta viva-voce, questo aveva ammesso il furto, impegnandosi a restituire il portafoglio; cosa tuttavia mai avvenuta.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno evidenziato come la decisone impugnata abbia fatto buon governo delle regole dettate dall’art. 192 c.p.p.,

“facendo leva sulla confessione stragiudiziale dell’imputato, corroborata dalla prova testimoniale, e riposa su un apparato argomentativo che dà conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene, sicché essa non è posta in crisi dalle censure mossele”.

Inoltre, secondo costante orientamento giurisprudenziale

“la confessione stragiudiziale ben può essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in sé, e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e la spontaneità in relazione al fatto”.

La confessione stragiudiziale può essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell’imputato nel caso in cui il giudice di merito, con motivazione immune da vizi logici, ne apprezzi favorevolmente la veridicità e la spontaneità, escludendo ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio e di intervenuta costrizione sul soggetto.

Da ultimo gli Ermellini hanno precisato che

“il valore probatorio di detta fonte di prova deve essere apprezzato secondo le regole del mezzo di prova che la introduce nel processo, ex art. 192 c.p.p., nel senso che la confessione stragiudiziale riferita dal testimone è soggetta alla regola di valutazione propria delle prove testimoniali, ex art. 192 c.p.p., comma 1, mentre, per quella riferita dal chiamante in realtà o in correità, deve applicarsi la regola di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3”.

Perché la confessione stragiudiziale venga assunta a fonte del libero convincimento del giudice, rimane tuttavia ferma l’esigenza di valutarla in sé, raffrontandola con gli elementi di giudizio e verificandone la spontaneità e la genuinità, in relazione al fatto contestato.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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