RESPONSABILITÀ MEDICA TRA LA LEGGE BALDUZZI E LA GELLI
Responsabilità medica commessa tra l’entrata in vigore della Balduzzi e della Legge Gelli, quale si applica?
Corte di Cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 36723 del 2018
La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe ha espresso il seguente principio di diritto:
“In tema di responsabilità del professionista sanitario, qualora il fatto sia stato commesso sotto la vigenza dell’art. 3, comma 1, d.l.n. 158/2012, in presenza di errore dovuto ad imperizia non grave ed intervenuto nella fase esecutiva delle raccomandazioni previste dalle linee guida adeguate al caso specifico, la suddetta previsione deve essere considerata più favorevole di quella di cui all’art. 590-sexies c.p., dal momento che integra una parziale abolitio criminise non una mera causa di non punibilità, dovendo dunque essere applicata a norma dell’art. 2 c.p.”.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che in tema di responsabilità medica, l’art. 590-sexies c.p. introdotto dall’art. 6 della l. n. 24 del 2017 prevede una causa di non punibilità applicabile solo ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o 590 c.p., ed operante solamente nei casi in cui il sanitario abbia individuato ed applicato le linee guida idonee al caso concreto e versi in una situazione di colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.
Vedi anche
Non si applica detta causa di non punibilità quando si versi in casi di colpa da imperizia o da negligenza, né quando l’atto sanitario non sia governato dalle linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate in maniera inadeguata rispetto al caso concreto dal sanitario, né in caso di colpa grave da imperizia nella fase di attuazione delle raccomandazioni previste da queste.
Detto ciò si deve precisare che l’abrogato art. 3, comma 1, del d.l.n. 158 del 2012, si configura come una norma più favorevole rispetto all’art. 590-sexies c.p., introdotto dalla l. n. 24 del 2017, sia in merito alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza o imperizia, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee guida da applicare al caso concreto.
Nel caso in questione, i profili di colpa generica contestati ai sanitari sono due: uno commissivo ed uno omissivo. Per quanto riguarda il primo, consistente nell’aver clippato erroneamente il dotto epatico comune durante la colecistectomia, non vi è alcun dubbio che si tratti di un errore di tecnica chirurgica, e riconducibile nell’alveo dell’imperizia. L’intervento in questione è risolutivo per la patologia presentata dal paziente, quindi si deve concludere per il rispetto delle linee guida nella fase di selezione.
Vedi anche
L’errore dei sanitari deve essere considerato come un errore da imperizia intervenuto nella fase esecutiva delle raccomandazioni previste dalle linee guida correttamente individuate.
Per quanto riguarda invece il profilo della colpa omissiva, consistito nell’omessa tempestiva diagnosi differenziale della lesione provocata durante l’intervento chirurgico, si deve concludere per la sua natura di errore diagnostico, causato da negligenza, per discostamento dalle linee guida.
In materia di colpa professionale si deve ricordare il seguente orientamento giurisprudenziale:
“L’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi”.
Infatti nel caso di specie, fermo il grave errore chirurgico, gli imputati versavano anche in colpa omissiva per non aver tempestivamente diagnosticato l’errore da loro stessi commesso in fase operatoria, violando le linee guida che prevedono inizialmente di eseguire esami non invasivi.
Questi due profili di colpa devono ritenersi causalmente determinanti per il verificarsi dell’evento morte, al quale è andato incontro il paziente.
La natura commissiva della condotta consiste nel trasgredire ad un divieto, cioè nel compiere un’azione difforme da quanto imposto da una regola cautelare, e ciò implica, ai fini dell’accertamento del nesso causale con il verificarsi dell’evento dannoso, che il giudizio controfattuale sia operato valutando se l’evento si sarebbe verificato ugualmente anche in mancanza della condotta omissiva.
Nel nostro caso infatti se i due medici non avessero erroneamente posizionato la clip e se durante la fase post-operatoria avessero effettuato semplici esami di primo livello, non invasivi per il paziente, questo non sarebbe deceduto.
Vedi anche
Il nesso causale non può considerarsi interrotto dal successivo intervento praticato da un’altra equipe medica di altro ospedale per cercare di salvare la vita del paziente già in gravissime condizioni.
Infatti, secondo costante giurisprudenza:
“In materia di interruzione del nesso causale a norma dell’art. 41 c.p, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell’agente, sia quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale ragionevole probabilità”.
Il nesso causale si interrompe quando la causa sopravvenuta inneschi un nuovo rischio, del tutto incongruo rispetto a quello originario, attivato dalla prima condotta.
Numerose sentenze si sono espresse nel senso che
“l’eventuale negligenza o imperizia dei medici, ancorché di elevata gravità, non elide, di per sé, il nesso causale tra la condotta lesiva e l’evento morte, in quanto l’intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini dell’esclusione del nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinate l’evento letale”.
Dott.ssa Benedetta Cacace