NULLO IL LICENZIAMENTO PER INVESTIGAZIONE DISCRIMINATORIA

NULLO IL LICENZIAMENTO COMMINATO VIOLANDO L’ART 28 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI

E’ stato ritenuto nullo un licenziamento di un informatore farmaceutico sindacalista che era stato sottoposto previamente ad attività investigativa per indagare su illogicità in merito all’orario di lavoro ed a rimborsi spese anomali.

Accadeva però che l’investigazione fosse stata fatta solo sul lavoratore anche sindacalista e quindi si configurava una discriminazione.

Si tratta della recente pronuncia della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 2606 del 27/01/2023, che ha visto il dipendente vittorioso nei tre gradi di giudizio.

La Magistratura ha infatti pronunciato e confermato la nullità del licenziamento, ordinando la reintegra del lavoratore nonché il pagamento delle mensilità e degli oneri accessori dalla data di interruzione del lavoro fino all’effettivo ripristino del rapporto di lavoro.

In particolare, nella vicenda sottesa alla pronuncia in argomento, la Corte d’Appello confermava le ragioni del lavoratore, già accolte in primo grado, ritenendo il licenziamento di un informatore farmaceutico nullo perché discriminatorio.

La natura discriminatoria si individuava nel fatto che sussisteva un fattore di rischio, giacché il lavoratore era un sindacalista ed in quanto solo per tale dipendente era stata deferita dalla società datrice di lavoro un’attività investigativa.

Mai in passato altri lavoratori nelle sue stesse condizioni lavorative, non tuttavia sindacalisti, erano stati sottoposti dal datore di lavoro coinvolto nel processo de quo ad indagini investigative.

Dal suo canto la società non aveva saputo dimostrare la ragione per cui aveva disposto gli accertamenti investigativi sul lavoratore, volti ad individuare incongruenze ed anomalie nell’orario di lavoro e nei rimborsi spese.

La società però non si arrendeva e ricorreva in Cassazione adducendo ben nove motivi.

Tuttavia le rimostranze della datrice di lavoro venivano ancora una volta disattese dalla Suprema Corte che, in sintesi, riteneva dimostrato il carattere discriminatorio del licenziamento atteso che l’azienda mai aveva riservato ai colleghi del lavoratore, non sindacalisti, il medesimo trattamento.

Si ravvisava dunque una violazione dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

Per gli Ermellini

la nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali la L. n. 604 del 1966, art. 4, l’art. 15 Stat. Lav. e la L. n. 108 del 1990, art. 3, nonché di diritto Europeo, quali quelle contenute nelle Direttive n. 2000/78/CE, n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, sicché non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un’altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico”.

Così veniva confermato il ragionamento dei giudici di primo e secondo grado, che avevano ritenuto accertata e dimostrata la natura discriminatoria e ritorsiva del licenziamento del datore di lavoro, avvalorando il ragionamento della Corte territoriale che, attraverso una motivazione che veniva ritenuta congrua e logica, rilevava che la società datrice di lavoro aveva cambiato nel corso del giudizio le proprie versioni sulle giustificazioni alla base degli accertamenti disposti e fondanti il fatto che tali attività non erano state impiegate anche per gli informatori farmaceutici addetti alla medesima linea.

Tale dato, per la Magistratura, provava la natura discriminatoria del licenziamento (cfr. Cass. n. 15094 del 2018).

Emergeva dunque che vi fosse un collegamento tra lo status di sindacalista (il lavoratore, nelle vesti di sindacalista si era adoperato in difesa di un collega per le condizioni di stress lavorativo elevate al punto da indurlo a tentare il suicidio) ed il licenziamento, ritenuto ritorsivo, persecutorio e discriminatorio e dunque illegittimo perché comminato in violazione dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori.

In conclusione il ricorso veniva respinto e quindi rimanevano confermate le precedenti pronunce che condannavano alla nullità del licenziamento e reintegra del dipendente, con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna al risarcimento del danno nella misura della retribuzione globale di fatto dal giorno del recesso alla reintegra ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

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Cassazione civile sez. lav. – 27.01.2023, n. 2606