L’IDONEITA’ DELLA PRATICA SPORTIVA AGONISTICA ATTESTATA CON SUPERFICIALITA’

RESPONSABILE PER OMICIDIO COLPOSO IL MEDICO CHE ATTESTA CON LEGGEREZZA  L’IDONEITÀ DELL’ATLETA

Con la recente pronuncia n. 20943 del 17.05.2023, la IV Sezione della Corte di Cassazione, sezione penale, confermava la condanna per il reato di omicidio colposo per un dottore specialista che, rilasciando il certificato di idoneità sportiva agonistica con validità annuale, attestava con superficialità l’idoneità alla pratica sportiva agonistica di un atleta, poi però deceduto durante un allenamento a causa di una patologia cardiaca.

Il medico era colpevole di aver ammesso alla pratica sportiva agonistica l’uomo, nonostante la detta attività fosse incompatibile con la sua situazione clinica.

Era stato invero valutato che se l’uomo non avesse svolto l’attività sportiva per cui il medico lo dichiarava idoneo, non sarebbe deceduto.

In particolare, nella vicenda sottesa alla pronuncia in esame, un medico Specialista in Medicina dello Sport presso il Poliambulatorio, veniva imputato del reato p. e p. all’art. 589 c.p. per cui:

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona e’ punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto e’ commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena e’ della reclusione da due a sette anni

e quindi condannato in primo e secondo grado perché con una condotta imprudente, imperita e negligente, aveva rilasciato un certificato di idoneità sportiva agonistica con validità annuale, nonostante dall’esame di l’ecg al massimo sforzo e in fase di recupero fosse emerso che l’uomo fosse affetto da ischemia miocardica infero-laterale e che quindi fosse positivo per ischemia miocardica inducibile.

Non solo, dagli esami risultava anche che l’uomo aveva registrato un cambiamento peggiorativo nel corso dell’ultimo anno con extrasistoli ventricolari di almeno due diverse morfologie con una tripletta e un sottolivellamento discendente significativo del tratto ST in D2, D3, A VF, V5, V6 e in DI AVL.

Insomma, i risultati degli esami strumentali eseguiti escludevano che l’atleta fosse idoneo per la pratica sportiva agonistica.

Il medico invece, omettendo di informare il paziente delle sue alterazioni patologiche, rilasciava il certificato ed il primo decedeva nel corso di un allenamento ciclistico per

arresto cardiaco acuto da verosimile recidiva d’infarto in soggetto con esiti di pregresso infarto del miocardio antero-settale in sede sub-endocardiaca, cardiomiopatia ipertrofico-dilatativa e coro-naropatia”.

Incassate le sconfitte in primo e secondo grado quindi, il medico decideva di ricorrere in Cassazione.

Tuttavia, anche il ricorso veniva respinto.

La Suprema Corte in particolare rilevava che la Corte d’appello avesse indicato con precisione tutti gli elementi che fondassero la tesi dell’accusa oltre ogni ragionevole dubbio.

In sostanza i giudici di merito avevano accertato che la morte improvvisa dello sportivo poteva e doveva essere scongiurata mediante un diligente ed oculato comportamento professionale del dottore, che invece aveva adottato un contegno professionale erroneo sotto il duplice profilo della negligenza e dell’imperizia, colposo ed eziologicamente incisivo sul determinismo dell’evento mortale, avendo consentito l’automatica ammissione del soggetto all’attività sportiva, incompatibile con la sua situazione clinica ed essendo, di contro, razionalmente altamente credibile che la sua morte sarebbe stata evitata, se non avesse svolto l’allenamento ciclistico.

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Cass. pen., Sez. IV, Sent., (data ud. 21.02.2023) 17.05.2023, n. 20943