I LAVORI SALTUARI DELLA MOGLIE INCIDONO SULL’ASSEGNO DIVORZILE?

ASSEGNO DIVORZILE ALLA MOGLIE ANCHE SE SVOLGE LAVORI SALTUARI

L’assegno divorzile è previsto dalla legge ed implica l’obbligo stabilito dal Tribunale a capo di un coniuge di versare all’altro una somma di denaro, laddove quest’ultimo non abbia mezzi adeguati per il proprio sostentamento e non possa procurarseli per ragioni oggettive tra cui, a titolo esemplificativo e non esaustivo, la sussistenza di un handicap invalidante.

La normativa di riferimento è contenuta nell’art. 5 comma 6 della Legge sul divorzio (L. 898/1970) ed integrata dalla pronunce giurisprudenziali in materia, che risultano fondamentali, attesa l’esiguità del testo normativo.

L’evoluzione Giurisprudenziale ad interpretazione dell’assegno divorzile è culminata con la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 18287 dell’11 luglio 2018 che ha chiarito che l’assegno divorzile ha scopo assistenziale, perequativo e compensativo in ossequio agli artt. 2 e 29 della Costituzione a fondamento del principio di solidarietà post-coniugale.

Per decidere sull’assegno divorzile, secondo la sentenza in commento, il Tribunale deve operare una comparazione tra le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi; verificare se il richiedente è effettivamente privo dei mezzi “adeguati” al proprio sostenimento ed è impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive e accertare le cause della sperequazione tra i coniugi.

Per il calcolo dell’assegno divorzile, occorrerà una valutazione in concreto sul livello reddituale adeguato al richiedente, in relazione al contributo che ha prestato nella vita familiare, tenendo conto anche del sacrificio delle aspettative professionali a beneficio della famiglia.

Nel ribadire la natura dell’assegno divorzile, la Suprema Corte di Cassazione, con la recente pronuncia del 28/07/2022, n.23583 ha chiarito che

Con riguardo alla capacità lavorativa del coniuge beneficiario dell’assegno di divorzio, l’indagine del giudice di merito, al fine di verificare se risulti integrato o escluso il presupposto dell’attribuzione dell’assegno, va condotta secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo una attività concretamente espletata soltanto saltuariamente giustificare l’affermazione della “esistenza di una fonte adeguata di reddito”, specie a fronte della rilevazione del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal caso, legittimamente inferire la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato.”

Nel dettaglio, nella vicenda sottesa alla pronuncia in esame, accadeva che la moglie ricorresse avverso la pronuncia della Corte d’appello che aveva riformato solo nelle spese la decisione del Tribunale di prime cure che, per quel che interessa in tal sede, aveva rigettato la richiesta per l’assegno divorzile sollevata dalla donna.

Con il proprio ricorso in cassazione, per ciò che rileva, la ricorrente lamentava la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 in merito al diniego di riconoscimento dell’assegno divorzile giacché risultava disattesa la ratio perequativa-compensativa dell’assegno, seppur la Corte territoriale avesse rilevato che la ricorrente aveva dovuto sacrificare le proprie attività professionali per provvedere alle necessità dei bambini adottati dalla coppia, nemmeno tenendo conto della sua età e del lungo periodo di lontananza dal mercato del lavoro.

Il motivo veniva ritenuto fondato dalla Suprema Corte che aveva nell’occasione richiamato la sentenza n. 18287/2018 che aveva chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti che

1) ‘il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi del L. n. 898 del 1970 art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”; 2) “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”; 3) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Così, la Corte territoriale aveva confermato il diniego dell’assegno divorzile giustificando la decisione sul presupposto che le condizioni economiche delle parti fossero pressoché equivalenti, ma per gli Ermellini

la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del “tenore di vita matrimoniale”, non è decisiva, isolatamente considerata, ai fini della determinazione dell’assegno perché l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze” (cfr. Cass. n. 21234/2019) e “lo squilibrio rileva “come precondizione fattuale” (Cass. 32398/2019), quando risulti che esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due” (Cass. 21926/2019).

Così, veniva ribadito che l’assegno divorzile va parametrato non al criterio della conservazione del tenore di vita matrimoniale, ma all’indipendenza o autosufficienza economica del coniuge richiedente.

Sul punto, le Sezioni Unite del 2018, confermato l’abbandono del parametro del “tenore di vita” hanno riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non già soltanto assistenziale ma anche riequilibratrice, ovvero compensativo-perequativa laddove sussista un significativo squilibrio delle situazioni economico-patrimoniali tra gli ex coniugi, dopo il divorzio e quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza economica.

L’assegno divorzile è quindi dovuto o nell’ipotesi in cui l’ex coniuge non sia economicamente autosufficiente o in quella in cui “il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale divenuto ingiustificato ex post dall’uno all’altro coniuge, spostamento patrimoniale che, in tal caso, e solo in tal caso, va corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa” (Cass. 24250/2021).

Dunque, pur avendo abbandonato il parametro del tenore di vita, per determinare l’ammontare dell’assegno di divorzio occorre definire quale sia una misura adeguata garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, secondo un criterio di normalità,

avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale” (Cass. 24250/2021).

Ancora, gli ermellini, nella pronuncia in commento, hanno ribadito che per verificare la capacità lavorativa del coniuge beneficiario dell’assegno occorre indagare in modo rigoroso giacché un’attività espletata soltanto saltuariamente non può dimostrare l’esistenza di una fonte adeguata di reddito, tale da determinare il diniego dell’assegno divorzile.

Leggi il testo della sentenza

Cassazione civile sez. I – 28.07.2022, n. 23583