FINE DI UNA RELAZIONE SENTIMENTALE E VENDETTE

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 30455 del 2019 condanna per diffamazione, atti persecutori e lesione della privacy l’ex fidanzato che per vendetta ha diffuso in rete diversi video ritraenti l’ex in atteggiamenti intimi

Nel caso di specie la Corte d’Appello aveva confermato la decisione del Giudice dell’udienza preliminare, che all’esito del giudizio abbreviato aveva riconosciuto l’imputato colpevole dei delitti di diffamazione aggravata, di atti persecutori e di trattamenti illecito di dati personali ai danni di una sua ex ragazza, per aver messo in rete in seguito alla rottura della relazione alcuni video ritraenti la vittima durante l’intimità della sua vita privata nonché per aver diffuso nel comune luogo di lavoro, dei biglietti contenenti epiteti denigratori della stessa.

Nel ricorrere in Cassazione l’imputato denuncia l’omessa motivazione, in relazione ai rapporti tra i delitti di cui agli artt. 595 c.p., 612-bis c.p. e 167 d.lgs. n. 196/2003, quanto ai motivi di gravame inerenti la prova del caricamento in rete di alcuni video realizzati con le fotografie ritraenti la parte offesa, non avendo il giudice di merito affrontato le questioni tecniche riguardanti l’indirizzo IP.

Inoltre deduce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., dubitando della possibilità di ritenere che il caricamento di sette video riguardanti l’ex ragazza, pur se ritratta in atteggiamenti intimi, diano di per sé soli idonei ad integrare la persecutorietà che integra la fattispecie di reato evocata.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione, hanno dichiarato infondato il ricorso, sottolineando come la divulgazione sui portali telematici di video ritraenti la persona offesa, in pose ed atteggiamenti intimi e di trattamento illecito di dati personali, opinando nel senso che, al di là delle risultanze delle consulenze tecniche di parte, gli indizi raccolti sul conto dell’imputato, che era un collega di lavoro della donna; che questa aveva intrattenuto una relazione sentimentale con lui, nel corso della quale, presso la propria abitazione, l’aveva ritratta in fotografie, non cedute ad alcuno; che era in possesso di competenze informatiche che gli permettevano di compiere le operazioni tecniche necessarie per la diffusione in rete delle immagini sopra menzionate, erano dotati di gravità, precisione e concordanza tali da far ritenere che nessuno, salvo l’imputato, potesse avere inserito in rete i video realizzati con il montaggio delle foto in suo possesso.

Tale condotta trova sicuramente spiegazione nel risentimento e nel rancore nutrito dall’uomo a causa della fine della relazione con la vittima e quindi, nell’interesse ritorsivo a screditarla non solamente nell’ambiente di lavoro ma anche sul web e a crearle una situazione di turbamento esistenziale.

Il procedimento inferenziale seguito dal giudice di merito è conforme al costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale:

“Gli indizi, ai sensi dell’art. 192, comma 2, c.p.p. devono corrispondere a dati di fatto certi, cioè in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto, precisi e concordanti. Requisiti, tutti quelli indicati, che devono rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che, in mancanza anche di uno solo di essi, gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilità penale”.

In tale prospettiva si è affermato che il movente, attribuendo agli indizi il connotato dell’univocità, costituisce un fattore di coesione degli stessi e, di conseguenza, diventa un elemento utile allo svolgimento del processo logico diretto a riconoscere valenza probatoria agli altri indizi acquisiti, senza che ciò significhi che il movente possa costituire elemento che consenta di superare le discrasie di un quadro probatorio non convincente.

La Corte di Cassazione ha evidenziato come la destabilizzazione psico-esistenziale vissuta dalla vittima sia stata l’effetto di una articolata manovra screditante realizzata dal suo ex compagno, non solamente tramite la diffusione di diversi video in rete, ma anche attraverso la diffusione nel luogo di lavoro di bigliettini atti a vulnerare il suo profilo morale.

Il rilievo formulato con un ulteriore motivo di ricorso, che attiene all’inconfigurabilità del concorso tra il delitto di diffamazione e quello di trattamento illecito dei dati personali non tiene in considerazione il principio di diritto secondo il quale:

“in presenza della clausola di riserva salvo che il fatto costituisca più grave reato, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico”.

Interesse giuridico protetto che, nelle fattispecie disciplinate dagli artt. 595 c.p. e 167 d.lgs n. 196 del 2013, non è affatto sovrapponibile:

“nel diritto di diffamazione il bene giuridico si identifica nella reputazione, che coincide con la considerazione, in relazione al sentire del momento storico, di cui la persona gode nell’ambiente sociale ed attiene, quindi, all’aspetto esteriore dell’individuo, che ha diritto a godere di un certo riconoscimento sociale; nel diritto di trattamento illecito di dati personali, il bene giuridico si identifica nella riservatezza, che coincide con il diritto dell’individuo a preservare la propria sfera personale dalle attenzioni di quanti non abbiano titolo per ingerirsi in essa e attiene all’espetto interiore dell’individuo, che ha diritto a proteggersi dalle indiscrezioni altrui”.

Deve escludersi una coincidenza tra le due fattispecie evocate dal punto di vista strutturale, così da permettere, in forza dell’art. 15 c.p. l’applicazione di quella soltanto tra le due che sia connotata in termini di specialità. La condotta prevista dall’art. 167 d.lgs. n. 196/2003 non esige a differenza dell’art. 595 c.p. la comunicazione con più persone e si riferisce solamente a dati sensibili, diversamente da quanto previsto in tema di diffamazione; inoltre tale condotta è connotata dal dolo specifico di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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