.. E SE IL GATTO SPORCA ABITUALMENTE NELLE PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO.

Può configurare  il reato di atti persecutori lasciare che il proprio animale domestico sporchi nelle parti comuni dell’edificio

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 25097 del 2019

L’articolo 612 bis del codice penale, che disciplina il reato di atti persecutori, dispone che:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata”.

Nel caso di specie, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano confermato la condanna dell’imputata per il reato di atti persecutori, per aver lasciato che i gatti di sua proprietà sporcassero nelle parti comuni dell’edificio.

Gli Ermellini intervenuti sulla questione hanno dichiarato infondato il ricorso, ritenendo in accordo con i giudici di merito, come all’imputata non andasse addebitato una mera incuria colposa nel governo degli animali di sua proprietà, ma come in seguito alle ripetute lamentele ella abbia volontariamente continuato a liberarli nelle parti comuni dell’edificio abitato anche dalla persona offesa, nell’evidente consapevolezza delle conseguenze sul piano igienico che ciò comportava e della molestia che arrecava alla vicina di casa.

Tale comportamento posto in essere dall’imputata è sicuramente riconducibile all’alveo dell’art. 612 bis del codice penale, tanto più avvallato dagli elementi dell’abitualità della condotta.

Inoltre anche alcuni testi avevano riferito della presenza degli escrementi degli animali, nonché dell’olezzo delle loro deiezioni per tutto l’edificio.

Sulla base di quanto appena affermato si deve desumere che configura il reato di atti persecutori, tenuto con condotte moleste e reiterate nel tempo al solo fine di infastidire la vicina di casa, ignorando le sue ripetute lamentele, quello di lasciare che i propri animali domestici sporchino le parti comuni dell’edificio.

Infatti secondo la Corte di Cassazione la condotta posta in essere dall’imputata era da ricondurre ad una sua chiara volontà, avendo questa ignorato le lamentele della persona offesa ed anzi avendole scritto alcune frasi minacciose su dei cartelli.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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