… E SE L’OPERATORE TELEFONICO TI DICE “LA GENTE COME TE LA SISTEMEREI IO!”?

Alterazioni verbali durante una telefonata con un operatore del call-center: profili giuridici

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 22467 del 2019

Il caso di specie origina dal ricorso presentato dall’attrice che durante una conversazione telefonica con un operatore call-center si era sentita dire: “la gente come te la sistemerei io”.

Quello che ci si chiede è se tale affermazione sia in grado di configurare il reato ex art. 612 c.p., secondo cui:

“Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.

Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.

Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339”.

I giudici di merito avevano condannato l’imputato per il reato ex art. 612 c.p. per aver, durante una conversazione telefonica, prospettato alla persona offesa un male ingiusto.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione, hanno dichiarato fondato il ricorso, ritenendo che la frase indicata nel capo di imputazione come minacciosa deve essere valutata alla luce del contesto nel quale la stessa era stata proferita; e ciò deve essere fatto proprio al fine di apprezzarne l’eventuale portata intimidatoria.

Dalla ricostruzione dei fatti era emerso che la persona offesa, quale utente del servizio idrico aveva telefonato diverse volte al numero verde al fine di richiedere la sostituzione del contatore dell’acqua e che l’imputato, in qualità di dipendente aveva risposto alle telefonate. All’esito dei numerosi contatti telefonici instaurati con la persona offesa, l’odierno ricorrente si era alternato proprio per la continua pressione esercitata dalla donna, e in seguito ad alcune espressioni ingiuriose, nonché dopo aver sottolineato che aveva telefonato più di una dozzina di volte il numero verde, aveva proferito le parole “la gente come te la sistemerei io”.

Non mettendo in discussione la portata offensiva delle parole proferite prima di tale ultima frase, in relazione alle quali la persona offesa potrà ottenere l’idoneo risarcimento dei danni in sede civile, in ragione della depenalizzazione della condotta di ingiurie, deve escludersi la configurabilità del reato di minaccia contestato per l’espressione pronunciata. Infatti risulta evidente l’estrema genericità, conseguenziale al rilievo che il numero spropositato di telefonate da parte della donna era stato facilitato dal fatto di essere avvenuto usufruendo di “un numero verde”.

Si deve rammentare che:

“nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo però sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente”.

La portata intimidatoria della condotta deve essere valutata in concreto, avendo riguardo sia al tenore delle espressioni verbali sia al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se ed in quale misura abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.

Da quanto appena esposto si ricava che: tenore delle espressioni proferite, qualità del soggetto agente e del soggetto passivo, nonché il contesto nel quale si svolgono i fatti, rappresentano i parametri che devono orientare il giudice nel suo prudente apprezzamento.

Nel caso di specie i giudici di merito non avevano fatto buon governo dei principi sopra espressi, essendosi limitati solamente a ritenere che l’espressione proferita dall’imputato integrasse la fattispecie incriminatrice ex art. 612 del codice penale, omettendo di considerare la specificità della vicenda nel suo complesso.

In diverse occasioni la Corte di Cassazione ha specificato che:

“perché si perfezioni il delitto di minaccia è necessario che l’agente prospetti un male ingiusto che, quand’anche non proveniente da lui, dipenda dalla sua volontà. Difatti, poiché l’evento da cui dipende l’esistenza del reato consiste nel turbamento della psiche del destinatario, che si realizza con la stessa rappresentazione del male futuro, il nesso tra la condotta e l’evento dipende proprio dalla disponibilità di quel male da parte di chi lo prospetta”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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