CAUSE DI DIRITTO BANCARIO: SULLE MODALITÀ DI FORMULAZIONE DELL’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE

La Corte Cassazione civile, sez. 1, con Ordinanza interlocutoria n. 27680/2018 ha evidenziato una delicata questione, su cui insiste un contrasto giurisprudenziale, nelle cause di diritto bancario in cui il correntista richieda la restituzione di somme indebitamente versate: l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca deve contenere l’allegazione delle singole rimesse aventi  natura solutaria operate nel corso del rapporto?

La vicenda giudiziaria

Una società aveva chiesto di rideterminare il saldo di due conti correnti con apertura di credito, previa declaratoria di nullità della clausola degli interessi anatocistici, con condanna della Banca alla ripetizione dell’indebito.

La Corte d’appello riformando la sentenza impugnata, ha condannato l’Istituto Bancario a restituire delle somme al netto delle rimesse, qualificate solutorie e ritenute prescritte, effettuate oltre dieci anni prima della data della domanda per rientrare nel fido concesso.

Avverso tale sentenza la Società ha proposto ricorso per cassazione.

In particolare per quanto qui ci interessa, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2938, 2697 e 2727 c.c., ha  imputato ai giudici di merito di avere accolto un’eccezione di prescrizione inammisibile perché genericamente formulata dalla Banca, senza allegare e provare quali fossero le rimesse extra fido e quindi solutorie, con l’effetto che il giudice, sostituendosi alla banca nell’individuare tali rimesse, avrebbe violato il principio secondo cui, una volta provata dal cliente l’apertura di credito ed i limiti del fido, spetterebbe alla banca l’onere di vincere la presunzione della natura ripristinatoria delle rimesse, cui consegue la decorrenza del termine di prescrizione per la ripetizione dell’indebito dalla chiusura del conto.

La questione qui affrontata verte quindi su come debba essere formulata l’eccezione di prescrizione formulata dalla Banca in particolare se l’istituto debba allegare le singole rimesse aventi natura solutaria operate nel corso del rapporto.

Sull’argomento la sentenza delle Sezioni Unite del 2 dicembre 2010, n. 24418 ha enunciato il principio secondo cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.

“La pronuncia muove dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione.
Di conseguenza, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti) e da fare decorrere il termine prescrizionale, in quanto siano consistiti nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens ed abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens. E ciò accadrà quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento, o ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (“scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista; non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere (sent. cit., in motivazione).”

Risulta pertanto necessario distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori della provvista.

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I versamenti solutori possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’art. 2033 c.c. e, quindi, la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo.

I versamenti ripristinatori, invece, non soddisfano il creditore ma ampliano o ripristinano la facoltà d’indebitamento del correntista:

“sicché, con riferimento ad essi, di pagamento non potrà parlarsi prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato, nel qual caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non consentita, l’eventuale azione di ripetizione d’indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo termine di prescrizione.”

Come viene fatto notare nell’ordinanza in commento

“E’ subito sorto nella pratica applicativa il problema di come la banca, alla quale il correntista chieda la restituzione di somme versate indebitamente, dovesse formulare l’eccezione di prescrizione; in particolare, se questa, per essere validamente proposta e quindi ammissibile, dovesse contenere l’allegazione, non solo, dell’inerzia del titolare, ma anche delle singole rimesse operate nel corso del rapporto aventi natura solutoria e, pertanto, dell’avvenuto superamento del limite dell’affidamento da parte del cliente.”

Al riguardo, si sono delineati nella giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti.

-Secondo un primo orientamento, l’eccezione di prescrizione genericamente formulata dalla banca con riferimento a tutte le rimesse affluite sul conto, senza indicazione di quelle aventi natura solutoria, sarebbe inammissibile.

La sentenza. 4518/2014 della Cassazione civile, sez. I,  ritiene, in presenza di un contratto di apertura di credito, che

“la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta: spetta dunque alla banca che eccepisce la prescrizione di allegare e di provare quali sono le rimesse che hanno invece avuto natura solutoria”.

Pertanto a fronte della formulazione generica dell’eccezione, indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto in data anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla data di proposizione della domanda, il giudice non può supplire all’omesso assolvimento di tali oneri individuando d’ufficio i versamenti solutori.

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Nella stessa direzione si colloca, in sostanza, un’altra ordinanza, la n. 12977/2018 , secondo la quale

“grava sulla banca, a fronte di un rapporto di conto corrente con apertura di credito, l’onere di allegare, ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione – e poi di provare, ai fini della fondatezza dell’eccezione, – non solo il mero decorso del tempo, ma anche l’ulteriore circostanza dell’avvenuto superamento, ad opera del cliente, del limite dell’affidamento. Tale attività di allegazione, per quanto ‘attenuata’ nella. relativa deduzione (e, cioè, senza la necessità di un’allegazione analitica delle rimesse ritenute solutorie), deve, però, comunque recare un grado di specificità tale da consentire alla controparte un adeguato esercizio di difesa sul punto, e, in mancanza, la relativa eccezione deve essere respinta, in quanto genericamente formulata (prima che infondata). Tale dato costituisce infatti il fondamento del fatto estintivo della pretesa azionata in giudizio dall’attore , dal momento che solo nelle operazioni extra-fido può ravvisarsi un’attività solutoria, con decorso della prescrizione dalla data del versamento, anziché dalla data di chiusura del conto. Nella specie, la banca, nel sollevare l’eccezione di prescrizione in primo grado, non aveva allegato, sussistendo un’apertura di credito e quindi un affidamento, che vi erano state, nel corso del rapporto bancario, rimesse effettuate ultra-fido, non più ripetibili essendo decorsi 10 anni (art. 2033 c.c.)”

– Al predetto orientamento se ne contrappone un secondo.

La Cass., sez V-I, con l’ordinanza del 22 febbraio 2018, n. 4372 statuisce che

“non compete alla banca convenuta fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione. Un tale incombente è estraneo alla disciplina positiva dell’eccezione in esame. Una volta che la parte convenuta abbia formulato la propria eccezione di prescrizione, compete al giudice verificare quali rimesse, per essere ripristinatorie, o attuate su di un conto in attivo, siano irrilevanti ai fini della prescrizione, non potendosi considerare quali pagamenti”;

“non si vede per quale ragione la banca che eccepisca la prescrizione debba essere gravata dell’onere di indicare i detti versamenti solutori (su cui la detta prescrizione possa, poi, in concreto operare)”

In altri termini,

“il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide, dunque, sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso, indipendentemente dalla natura, solutoria ripristinatoria, dei singoli versamenti: semplicemente, la distinzione concettuale esistente tra le diverse tipologie di versamento imporrà al giudice, se del caso con l’ausilio del consulente tecnico, di selezionare giuridicamente le rimesse che assumano concreta rilevanza ai fini della ripetizione dell’indebito e della prescrizione”.

Tale ordinanza (n. 4372 del 2018) dichiara di porsi in linea di continuità con il costante indirizzo -Cass., sez. III, 29 luglio 2016, n. 15790; sez. I, 27 luglio 2016, n. 15631; sez. I, 16 maggio 2016, n. 9993; sez. V-III, 20 gennaio 2014, n. 1064; sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28292; sez. lav. 22 ottobre 2010, n. 21752; sez. III, 22 giugno 2007, n. 14576; sez. I, 22 maggio 2007, n. 11843; sez. I, 3 novembre 2005, n. 21321; sez. lav., 23 agosto 2004, n. 16573-, risalente alla sentenza delle Sezioni Unite del 25 luglio 2002, n. 10955, secondo cui

“elemento costitutivo della eccezione di prescrizione estintiva è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge. Ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice”.

Pertanto, osservano gli Ermellini

“secondo quest’ultimo orientamento, non incorre nelle preclusioni di legge la parte che, proposta originariamente un’eccezione di prescrizione quinquennale, invochi nel successivo corso del giudizio la prescrizione ordinaria decennale, o viceversa. Inoltre, il riferimento della parte ad uno di tali termini non priva il giudice del potere officioso di applicazione (previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione) di una norma che prevede un termine diverso, atteso che la questione relativa all’applicabilità di uno specifico termine di prescrizione attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge, la cui rilevazione non è riservata al monopolio della parte ma può avvenire anche d’ufficio.”

Gli atti vengono quindi rimessi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della composizione del rilevato contrasto giurisprudenziale.
Avv. Tania  Busetto


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