BENE DIFETTOSO RIPARATO ED AZIONE DI RISOLUZIONE

PUÒ ESSERE PROPOSTA L’AZIONE DI RISOLUZIONE ANCHE SE IL BENE VENDUTO VIENE RIPARATO

Nel caso in cui il consumatore acquisti un bene che poi si riveli difettoso, gli è consentito chiedere, gratuitamente, dapprima la sostituzione o la riparazione e solo in un secondo momento, accertata l’impossibilità di procedervi o anche laddove la sostituzione o la riparazione siano eccessivamente onerose, può avvalersi dei mezzi secondari tra cui ad esempio la restituzione del prezzo o la riduzione dello stesso.

L’acquisto si considera “non conforme” quando non corrisponde ha le qualità promesse dal venditore o dimostrate con il campione esposto dallo stesso. Al pari il bene può considerarsi “non conforme” quando è inidoneo ad appagare le specifiche necessità che il consumatore ha presentato prima della conclusione del contratto di acquisto e che sono state accettate dal venditore, così come anche laddove il bene non sia idoneo all’uso che il consumatore può legittimamente attendersi.

In tali casi il compratore ha il diritto di scegliere innanzitutto se il venditore debba procedere alla riparazione o alla sostituzione, ma quest’ultimo può eccepire che la scelta del compratore sia più onerosa rispetto all’altra e dunque optare diversamente. Dunque, di fatto la scelta rimane al venditore purché egli riesca a garantire che una volta riparato o sostituito, il prodotto sia immune da vizi.

In ogni caso, eventuali vizi devono essere denunciati dall’acquirente entro 8 giorni dalla scoperta e comunque non oltre un anno dall’acquisto (c.d. “garanzia legale”) o anche oltre se la garanzia del produttore (o anche detta “convenzionale”) lo consenta.

In materia è illuminante l’ordinanza della Corte di Cassazione del 26 agosto 2022, n. 25417.

Nella fattispecie esaminata dalla pronuncia in commento, accadeva che il ricorrente aveva acquistato un motociclo da una S.r.l. e di aver subito riscontrato problematiche che lo rendevano inidoneo all’uso.

Il ricorrente dunque adiva la Magistratura per la risoluzione del contratto per inadempimento e la condanna del venditore alla restituzione del prezzo pagato oltre ad una somma a titolo risarcitorio.

Incassata una sconfitta in grado di appello, il ricorrente adiva quindi la Corte di Cassazione lamentando la falsa applicazione dell’art. 130 comma 7 del codice del consumo, giacché la Corte d’appello aveva ritenuto insussistenti i presupposti per la risoluzione del contratto, adducendo che

le riparazioni furono eseguite dalla venditrice e dunque non erano impossibili e che non potevano rilevare i lunghi tempi di attesa per ogni riparazione, perché la moto in ogni occasione era stata ricevuta senza contestazioni e perché non era stato provato che il consumatore avesse subito notevoli inconvenienti.”

In accoglimento del su esteso motivo, la Corte di Cassazione assumeva che il Giudice di secondo grado non aveva operato una giusta applicazione della Giurisprudenza consolidata della Corte, secondo cui

Nella disciplina consumeristica il legislatore, nell’ottica di dare risalto al principio di conservazione del contratto, ha optato per una gerarchia dei rimedi a tutela del consumatore, distinguendo rimedi primari e rimedi secondari, e imponendo al consumatore di attenersi a tale gerarchizzazione, ma lasciandolo libero di scegliere il rimedio per lui più conveniente, una volta rispettato l’ordine dei rimedi in via progressiva“.

Nel caso esaminato dai Giudici di Piazza Cavour, la motocicletta non era conforme al contratto e ne conseguiva il diritto del consumatore a chiedere

in un primo momento la sostituzione ovvero la riparazione del bene, e solo qualora ciò non sia possibile, ovvero sia manifestamente oneroso, è legittimato ad avvalersi dei cd. rimedi secondari, che non sono altro che la riproposizione in materia consumeristica delle tradizionali azioni edilizie” (conf. Cass. 03/06/2020, n. 10453; Cass. – 14/10/2020, n. 22146; Cass. 07/02/2022, n. 3695);

Dunque, secondo gli ermellini, seppur da un lato sussiste la

subordinazione di una classe di rimedi ad un’altra che impedisce di ritenere che essi siano alternativi, in quanto l’unico onere imposto al consumatore è che egli si avvalga prima dei rimedi primari e, solo una volta che questi si rivelino inidonei a risolvere il problema, dei cosiddetti rimedi secondari” d’altro canto, la scelta di un rimedio, non comporta la preclusione per il consumatore di avvalersi a seguito degli altri, come si desume da attenta lettura dell’art. 130 co. 7 del Codice del consumo per cui “il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 6; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore”.

Dunque per la Suprema Corte, errava la Corte d’Appello non accogliendo la richiesta di risoluzione del contratto, pur essendo emerso dal giudizio che i diversi tentativi di riparazione inizialmente compiuti, non si erano rivelati idonei ad eliminare il difetto di conformità. (si veda in un caso similare Cass. n. 10453/2020).

Dunque, in conclusione, la Corte di Cassazione cassava la decisione di secondo grado rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione.