AVVOCATI E DICHIARAZIONI MENDACI


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Responsabilità dell’avvocato per dichiarazioni mendaci

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 33373 del 2019

Il caso di specie origina dalla decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che aveva inflitto ad un avvocato la sanzione della sospensione per due mesi dall’esercizio della professione per aver violato l’articolo 38 del R.D.L. n. 1578 del 1933, nonché gli artt. 2, 3 e 14 del Codice deontologico forense per aver esposto in comparsa conclusionale un fatto non corrispondente al vero.

Nello specifico il legale aveva  sostenuto che il convenuto da lei difeso aveva avanzato un’offerta transattiva pari ad euro 18.000 che non sarebbe stata accettata dalla parte attrice che aveva chiesto la maggior somma pari ad euro 35.000 per concludere la transazione della controversia.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, in seguito al ricorso presentato dall’avvocato aveva rideterminato la sanzione applicando la censura al posto della sospensione.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso in quanto la ricorrente sostanzialmente richiedeva un riesame nel merito della causa e cioè dell’effettiva proposizione o meno di una proposta transattiva nei termini descritti nell’addebito disciplinare.

I giudici hanno rilevato che il motivo di ricorso non può intendersi proposto quale prospettazione di omesso esame di fatti decisivi che peraltro non sono stati dedotti secondo i requisiti imposti dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Come rileva la stessa ricorrente

“le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56 soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito; non è, quindi, consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, che non possono essere oggetto del controllo di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza. Nella specie la motivazione del provvedimento impugnato risponde a tale valutazione perché evidenzia le ragioni per le quali ha ritenuto la volontarietà di una rappresentazione non veritiera del comportamento della parte, rappresentazione finalizzata comunque a ottenere una più favorevole regolazione delle spese processuali e integrativa pertanto della condotta sanzionata disciplinarmente e ascritta alla ricorrente”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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