ASSEGNO DIVORZILE E TENORE DI VITA


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In merito all’assegno divorzile, il parametro della conservazione del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema; l’onere di provare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge richiedente e l’assegno infine, svolge una finalità assistenziale ed in tutti i casi in cui l’assegno non viene riconosciuto non ricorrono le condizioni per valorizzare la funzione compensativa, è perché il coniuge richiedente si trova in condizioni di “autosufficienza economica

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 24934 del 2019

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di primo grado, che aveva posto a carico dell’ex moglie di contribuire al mantenimento della figlia minorenne, affidata ad entrambi i genitori e collocata prevalentemente presso il padre, mediante il rimborso della metà delle spese straordinarie, e la statuizione che imponeva all’ex marito di pagare all’ex moglie un assegno divorzile di euro 680 mensili.

In merito al contributo di mantenimento della figlia che l’uomo aveva chiesto alla Corte di rivedere, ponendo a carico dell’ex moglie l’obbligo di versare un importo fisso periodicamente, aveva motivato il diniego evidenziando lo squilibrio delle condizioni reddituali dei coniugi e il fatto che egli potesse provvedervi autonomamente, ribadendo che la “funzione dell’assegno divorzile è di consentire all’ex coniuge di conservare il tenore di vita matrimoniale”, risultando giustificata la statuizione di primo grado, tenuto conto della disparità economica tra gli ex coniugi.

Nello specifico l’ex moglie percepiva 2.000,00 euro mensili da lavoro dipendente, aveva acquistato un appartamento con i ricavi della vendita della casa coniugale e con un mutuo, oltre ad essere titolare di un assegno di mantenimento ottenuto in sede di separazione; l’ex marito invece percepiva dal proprio lavoro autonomo un reddito di molto più alto, e anch’egli aveva acquistato un appartamento, locato a terzi, con i ricavi della vendita della casa coniugale ed infine godeva di un rilevante patrimonio immobiliare, seppure in parte di origine ereditaria.

Nell’adire la Corte di Cassazione il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 147 ss. E 337 ter c.c., per aver assolto l’ex moglie dall’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia, divenuta maggiorenne, avendo ignorato i parametri normativi per la determinato del suddetto contributo, e erroneamente valutato i redditi degli ex coniugi.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione, hanno dichiarato fondato il ricorso in quanto i giudici di merito, ponendo a carico della donna l’obbligo di provvedere al solo rimborso della metà delle spese straordinarie necessarie al mantenimento della figlia, in ragione della situazione di squilibrio patrimoniale tra i genitori e del fatto che il padre fosse ampiamente in grado con le sue disponibilità di mantenerla, ha

“ignorato i parametri normativi riguardanti il mantenimento dei figli minori, si cui all’art. 337 ter, comma 4, c.c., riferibili anche ai figli maggiorenni”.

Ogni genitore è tenuto al mantenimento dei propri figli, anche maggiorenni, nei limiti delle proprie disponibilità, non essendo consentito ad uno di essi di essere totalmente o parzialmente esentato solamente perché l’altro genitore goda di migliori condizioni reddituali.

Per quanto invece concerne l’assegno divorzile, l’articolo 5, comma 6 della legge n. 898 del 1970 contiene un parametro, ossia la “disponibilità di mezzi adeguati o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”, e alcuni criteri da utilizzare per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno divorzile a favore del coniuge richiedente, come le condizioni e i redditi dei coniugi, il contributo personale ed economico dato alla famiglia e alla formazione del patrimonio comune.

Secondo costante orientamento giurisprudenziale la nozione di adeguatezza dei mezzi deve essere intesa come

“finalizzata alla conservazione del tenore di vita matrimoniale, come desumibile dalle condizioni economiche del coniuge destinatario delle domanda, all’esito, del cosiddetto confronto reddituale tra i coniugi al momento della decisione”.

In seguito a delle fondate critiche al suddetto parametro la giurisprudenza lo ha sostituito con quello inerente alla nozione di adeguatezza dei mezzi, intesa come “possibilità di vita dignitosa”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11504 del 2017 ha precisato che

“per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità”.

Le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 18287 del 2018 hanno chiarito che il parametro della conservazione del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema; l’onere di provare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge richiedente e l’assegno infine, svolge una finalità assistenziale.

In tutti i casi in cui l’assegno non viene riconosciuto non ricorrono le condizioni per valorizzare la funzione compensativa, è perché il coniuge richiedente si trova in condizioni di “autosufficienza economica”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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