IL DEPOSITO IN CANCELLERIA DI COPIA ANALOGICA DEL RICORSO NATIVO DIGITALE NOTIFICATO VIA PEC

Le Sez. Unite della Corte di Cassazione con la  Sent. n. 22438 del 24.09.2018 si sono soffermate su una questione di particolare importanza al fine di enunciare, nell’interesse della legge,  il principio di diritto che investe il profilo della procedibilità, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., del deposito del ricorso predisposto in originale telematico, sottoscritto digitalmente e così notificato a mezzo p.e.c..

Ai sensi dell’art. 369 c.p.c.

“Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena di improcedibilità [375, 387 c.p.c.], nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.

Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità:

1) il decreto di concessione del gratuito patrocinio;

2) copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, tranne che nei casi di cui ai due articoli precedenti; oppure copia autentica dei provvedimenti dai quali risulta il conflitto nei casi di cui ai nn. 1 e 2 dell’articolo 362;

3) la procura speciale, se questa è conferita con atto separato;

4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.

Il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della Corte di cassazione del fascicolo d’ufficio; tale richiesta è restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso [123bis, 134 disp. att.].”

Nel caso al vaglio della Corte il ricorso era stato redatto in originale telematico e sottoscritto digitalmente, per essere poi, come tale, notificato a mezzo p.e.c..

Ciò risultava non solo dalla copia stampata della p.e.c. depositata dalla società ricorrente che indica come gli atti allegati (ricorso, procura e relata di notifica) fossero file con estensione “.p7m.” e, dunque, sottoscritti con firma digitale tipo CAdES (Cass., S.U., 27 aprile 2018, n. 10266), ma anche  dalla attestazione di conformità del difensore del controricorrente relativa al messaggio di p.e.c. ricevuto e della copia degli atti allegati, tra cui il ricorso, tutti “firmati digitalmente”.

Del ricorso in originale telematico e sottoscritto digitalmente era stata depositata copia analogica informe, non sottoscritta con firma autografa dei difensori, insieme alle copie cartacee del messaggio di p.e.c. e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna prive dell’attestazione di conformità L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter.

Questa fattispecie (il ricorso nativo digitale e sottoscritto con firma digitale poi notificato via p.e.c. e depositato  in cancelleria in copia analogica dell’originale telematico priva di sottoscrizione autografa dei difensori, unitamente al deposito dei messaggi di p.e.c. riguardanti la notificazione del ricorso in originale telematico e della allegata procura, in copia informatica autenticata con firma digitale, senza che vi sia l’attestazione di conformità) è  sovrapponibile a quella già esaminata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30918 del 22 dicembre 2017, con la quale è stato rigorosamente interpretato  a favore dell’ improcedibilità il primo comma dell’369 c.p.c.  e si è pronunciato che

“Il deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, con attestazione di conformità priva di sottoscrizione autografa del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter,ne comporta l’improcedibilità rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 369 c.p.c., a nulla rilevando la mancata contestazione della controparte ovvero il deposito di copia del ricorso ritualmente autenticata oltre il termine perentorio di venti giorni dall’ultima notifica, non essendo ammissibile il recupero di una condizione di procedibilità mancante al momento della scadenza del termine per il deposito del ricorso”.

Vediamo i passaggi argomentativi affrontati da questa ordinanza:

“a) il processo telematico non è stato esteso al giudizio di cassazione, per cui il ricorso per cassazione può essere depositato nella cancelleria della Corte esclusivamente in modalità analogica (cartacea), sebbene ciò non escluda che il ricorrente possa notificare il ricorso (nativo analogico o nativo digitale; nella specie, trattasi di questa seconda ipotesi) con modalità telematiche;

b) il codice dell’amministrazione digitale (c.a.d., D.Lgs. n. 82 del 2005) riconosce un potere di attestazione di conformità di copie analogiche di atti digitali ai pubblici ufficiali a ciò autorizzati (art. 23), là dove un tale potere, nell’ambito del processo civile, è attribuito all’avvocato (così qualificato pubblico ufficiale) ai fini delle notificazioni (L. n. 53 del 1994 e successive modificazioni, artt. 6 e 9, commi 1-bis e 1-ter), concernendo il messaggio di posta elettronica certificata, i suoi allegati (nella specie e segnatamente, ricorso, procura alle liti e relazione di notifica), le ricevute di accettazione e di avvenuta consegna;

c) il deposito di ricorso analogico quale mera copia di quello informatico priva della necessaria attestazione di conformità sottoscritta dal difensore, non è idoneo ad integrare quanto richiesto dall’art. 369 c.p.c., comma 1, ed è quindi improcedibile;

d) in particolare, la sanzione della improcedibilità scatta allorquando sia stata depositata, nel termine di venti giorni dalla notificazione, soltanto una copia non autenticata e non già originale del ricorso (Cass., sez. un., 10 ottobre 1997, n. 9861) e, analogamente, deve ritenersi per il deposito, nel predetto termine, della relazione di notifica ed del relativo messaggio attestante il tempo della notifica dal quale decorre il termine per il deposito in cancelleria (Cass.  19 dicembre 2016, n. 26102, Cass. 28 luglio 2017, n. 18758);

e) l’improcedibilità del ricorso deve essere rilevata d’ufficio senza che sia necessaria un’eccezione della controparte (tra le tante, Cass., 18 settembre 2012, n. 15624 e Cass., 7 febbraio 2017, n. 3132), nè, in contrario, può avere rilievo la non contestazione della controparte in applicazione dell’art. 2719 c.c. (Cass., 1 dicembre 2005, n. 26222; Cass., 18 settembre 2012, n. 15624; Cass., 8 ottobre 2013, n. 22914; Cass., 26 maggio 2015, n. 10784), quale regola che attiene all’ambito probatorio inter partes e non invoca bile là dove si devono effettuare verifiche, come quelle relative alla procedibilità del ricorso, che hanno implicazioni pubblicistiche e non sono nella disponibilità delle parti. Di qui, anche la ragione del mancato richiamo del comma 2 dell’art. 23 del c.a.d. (norma ritenuta omologa al citato art. 2719 c.c.) ad opera della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter;

f) non è consentito il deposito dell’attestazione di conformità del ricorso (e anche della relata di notificazione e dei messaggi di p.e.c.) oltre il termine di venti giorni dall’ultima notificazione, non essendo ammissibile il recupero di una condizione di procedibilità mancante dopo la scadenza del termine per il deposito del ricorso (Cass., 20 gennaio 2015, n. 870 e Cass., 7 febbraio 2017, n. 3132; Cass., S.U., 2 maggio 2017, n. 10648, che, tuttavia, ha escluso l’applicabilità della sanzione dell’improcedibilità quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perchè prodotto dalla controparte o perchè presente nel fascicolo d’ufficio)”

Sempre le SS.UU. con la sentenza n. 10266/2018, hanno ribadito che nel giudizio di cassazione, cui  (ad eccezione delle comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 convertito, con successive modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012) non è stato ancora esteso il processo telematico (p.c.t.), è necessario estrarre copie analogiche degli atti digitali ed attestarne la conformità, in virtù del potere appositamente conferito al difensore dalla L. n. 53 del 1994, art. 6 e art. 9, commi 1-bis e 1-ter.

Le Sezioni Unite ora ritengono di dover intervenire in questa materia, stemperando il rigore dell’interpretazione data all’ art 369 c.p.c. dall’ ordinanza n. 30918/2017, affermando

“anzitutto, il superamento della sanzione dell’improcedibilità del ricorso notificato a mezzo p.e.c. come originale telematico e depositato in copia analogica (unitamente alle copie dei messaggi di p.e.c., della relata di notificazione e della procura) priva di attestazione di conformità L. n. 53 del 1994, ex art. 9 nell’ipotesi (che ricorre nella specie) di deposito della copia notificata del ricorso da parte del controricorrente ritualmente autenticata proprio ai sensi della L. n. 53 del 1994, citato art. 9.”

Le SS.UU. sottolineano che

“insistere nella sanzione di improcedibilità, nonostante che l’adempimento della controparte abbia consentito l’attivazione della sequenza procedimentale senza ritardi apprezzabili (“l’esame del fascicolo non può aver luogo se non si è atteso il tempo utile per il deposito del controricorso”: così la citata Cass., S.U., n. 10648/2017) e che il documento sia esibito “dalla stessa parte interessata a far constare la violazione processuale” (ancora Cass., S.U., n. 10648/2017), condurrebbe ad un vulnus di quei parametri normativi (art. 6 p. 1 CEDU, ma anche art. 47 della Carta di Nizza e art. 111 Cost.) che impongono di valutare in termini di ragionevolezza e proporzionalità gli impedimenti al pieno dispiegarsi della tutela giurisdizionale, la quale, nella declinazione del “giusto processo”, è presidiata dall’effettività dei mezzi di azione e difesa, che tale è anche nel preservare al giudizio la sua essenziale tensione verso la decisione di merito”

Con la  Sent. n. 22438 del 24.09.2018 vengono, quindi, enunciati, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., i seguenti principi di diritto:

il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione nativo digitale e notificato via p.e.c., senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c. sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2, non ne abbia disconosciuto la conformità all’originale notificatogli.

Anche ai fini della tempestività della notificazione del ricorso in originale telematico sarà onere del controricorrente disconoscere la conformità agli originali dei messaggi di p.e.c. e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente.

Nell’ipotesi in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio: in difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.

Nell’ipotesi in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso depositata, sarà onere del ricorrente, sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio, depositare l’asseverazione di legge circa la conformità della copia analogica, tempestivamente depositata, all’originale notificato:  in difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.

Nell’ipotesi in cui vi siano più destinatari della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale e non tutti depositino controricorso, il ricorrente sarà onerato di depositare, nei termini sopra precisati, l’asseverazione di cui alla L. n. 53 del 1994, art. 9: in difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile

Avv. Tania Busetto


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