Violazione dell’obbligo di fedeltà

Quando la violazione dell’obbligo di fedeltà può configurare concorrenza sleale.

Com’è noto, l’art. 2105 c.c. disciplina il cosiddetto obbligo di fedeltà del lavoratore. La norma stabilisceil divieto di trattare affari, per conto proprio o terzi, in concorrenza con l’imprenditore. Non può, altresì, divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

Il dettato normativo parla esplicitamente di concorrenza, nell’individuare le modalità con cui deve concretizzarsi la violazione dell’obbligo di fedeltà.

Sul punto è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 6091/2017 emessa dalla Sezione Lavoro.

Attraverso questo provvedimento i Giudici hanno delineato i confini di applicabilità del citato art. 2105 c.c.

Gli Ermellini hanno escluso che la mera potenzialità lesiva di una condotta del lavoratore configuri, di per sé, violazione del divieto di non concorrenza imposto dall’ordinamento al lavoratore.

Il caso da cui questa decisione prende le mosse, per chiarire meglio quanto sin qui esposto, ha visto escludere la fondatezza delle contestazioni mosse ad una lavoratrice. La resistente, assunta in forma part time, presso una impresa che operava nello stesso settore merceologico ed era concorrente dell’azienda di famiglia della lavoratrice. Questa, inoltre, forniva il suo contributo lavorando presso l’azienda familiare nei periodi di tempo liberi rispetto alla mansione principale.

Una volta scoperto questo doppio impiego, si è adito il Giudice competente al fine di veder riconosciuta la violazione dell’obbligo di fedeltà.