VEDIAMO QUALE REATO SI CONFIGURA CON LA CLONAZIONE DEL BANCOMAT
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza della Corte d’Appello di Roma, sezione prima penale, n. 6041 del 2018, ha disposto che l’apposizione di un lettore di codici a barre e una microtelecamera per captare il codice pin del fruitore dello sportello bancomat configura il duplice reato di accesso abusivo a sistema informatico e di installazione di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni informatiche
Nel caso di specie i tre imputati, di nazionalità bulgara, privi di una fissa dimora, erano stati dichiarati colpevoli dei reati ex art. 615 ter c.p. e 617 quinquies c.p., per aver introdotto uno skimmered una microcamera puntata sulla tastiera numerica, in un distributore automatico di banconote presso la filiale di una nota banca.
L’art. 615 ter c.p. disciplinante l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico prevede che:
“Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espresso o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni. […]”.
Invece l’art. 617 quinquies c.p. dispone che:
“Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative a un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617quater”.
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Per quanto concerne lo skimmer, questo corrisponde pienamente alla descrizione contenuta nell’art. 615 ter del codice penale, dato che il codice PIN ha una funzione di protezione per garantire che il denaro depositato sul conto corrente dell’utente non venga prelevato da soggetti terzi non autorizzati.
L’espressione “sistema informatico”, contenuta nella L. n. 547 del 23 dicembre 1993, comprende in sé il concetto di una pluralità di apparecchiature destinate a compiere una qualunque funzione utile all’uomo, attraverso l’utilizzazione di tecnologie informatiche.
Queste ultime, secondo la dottrina prevalente sono caratterizzate
“dalla registrazione per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di dati, cioè di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli numerici, in combinazioni diverse; tali dati, elaborati automaticamente dalla macchina, generano le informazioni costitute da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di attribuire un particolare significato per l’utente”.
Quindi, non vi è alcun dubbio che la definizione contenuta nell’attuale pronuncia si attaglia perfettamente al caso di specie, dell’intromissione nello scambio informatico tra l’apparecchio bancomat ed il cervello centrale dell’istituto di credito.
La pronuncia n. 3067 del 1999 della Corte di Cassazione ha chiarito che
“l’oggetto della tutela è qualsiasi dato che costituisca un’informazione salvaguardata da qualsiasi tipo di intrusione”.
Inoltre, è stata correttamente ritenuta sussistente l’aggravante dell’aver commesso il fatto con violenza sulle cose, come previso dal secondo comma n. 2 dell’art. 615 ter c.p., perché al fine di captare abusivamente il codice contenute nella banda magnetica dei vari bancomat usati dai malcapitati utenti, gli appellanti hanno manomesso fisicamente l’apparecchio, inserendo lo skimmer e la microcamera.
Dott.ssa Benedetta Cacace