TELEMARKETING ED IL GARANTE DELLA PRIVACY: IL CASO VODAFONE

Il Garante della Privacy stoppa il telemarketing della Vodafone

Troppe telefonate e sms inviati illecitamente

Con diverse segnalazioni il Garante della Privacy è stato edotto che la Vodafone aveva inviato sms e effettuato telefonate dal contenuto promozionale, verso soggetti che non avevano manifestato il consenso all’utilizzo della propria utenza per tali scopi, ovvero successivamente all’opposizione manifestata ex art. 7, comma 1, lett. b) del Codice direttamente alla società o ad operatori di call center che effettuavano chiamate per conto della compagnia telefonica.

In base al principio di correttezza nel trattamento, del Codice, di qualità dei dati nonché nel rispetto del diritto all’autodeterminazione informativa accordato all’interessato, il giorno seguente alla data di inserimento di una numerazione di una delle black list della società, la stessa doveva essere rimossa dalle liste di contattabilità.

In seguito ad un controllo era emerso un numero elevato di contatti effettuati in violazione di legge.

Per quanto riguarda le telefonate effettuate agli ex clienti e a chi aveva manifestato il dissenso ad essere contattato per scopi promozionali, la società aveva violato gli articoli 23 d 130, terzo comma del Codice, mentre con riguardo all’invio di sms indesiderati aveva violato gli art. 23 e 130, commi 1 e 2 del Codice.

Per tali ragioni il Garante Privacy aveva disposto, ex artt. 143, comma 1, lett. c), 144 e 154, comma 1, lett. d) del Codice, il divieto per Vodafone di trattare ulteriormente per finalità di marketing i dati concernenti le utenze di quanti non abbiano manifestato un libero consenso o abbiano fatto valere l’opposizione al trattamento ex art. 7, comma 4 lett. b) del Codice.

A tal fine deve rammentarsi che,

“risiedendo il “nucleo duro” del diritto alla protezione dei dati personali nell’esercizio delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’art. 7 del Codice le discipline di protezione dei dati personali si caratterizzano per il favor rispetto al loro esercizio (in tal senso depongono, peraltro, oltre alla gratuità del diritto d’accesso, pure le disposizioni di cui all’art. 10, del Codice, secondo il quale «per garantire l’effettivo esercizio dei diritti di cui all’articolo 7 il titolare del trattamento è tenuto ad adottare idonee misure volte, in particolare: a) ad agevolare l’accesso ai dati personali da parte dell’interessato […]; b) a semplificare le modalità e a ridurre i tempi per il riscontro al richiedente […]»), sì che le misure tecnico-organizzative che ciascun titolare del trattamento è tenuto a porre in essere devono essere ispirate a questi principi (peraltro ribaditi dagli artt. 12, parr. 2 e 3 e dagli artt. 15-22, Regolamento UE 2016/679)”.

La condotta posta in essere dalla compagnia telefonica violava una delle regole fondamentali in materia di protezione dei dati personali, quella secondo cui il consenso deve essere libero, atteso che la capacità di autodeterminazione degli utenti non è assicurata quando si assoggetta, come nel caso di specie, la possibilità di fruire delle prestazioni dedotte in contratto ovvero del diritto di proporre reclami nei confronti delle società, alla contestuale autorizzazione a trattare i dati conferiti per una finalità differente, qual è quella promozionale e pubblicitaria.

Quindi, ogni qual volta il consenso degli interessati, finalizzato allo svolgimento di attività di marketing viene acquisito, in fase precontrattuale o nel corso dell’esecuzione del contratto, senza assicurare la libertà di scelta da parte dell’interessato, senza cioè che il consenso sia liberamente e specificamente espresso, il conseguente trattamento è illecito.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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