SULL’EFFICACIA PROBATORIA DELL’AGGANCIO AD UNA CELLA TELEFONICA
L’AGGANCIO AD UNA CELLA TELEFONICA NON PROVA L’ESATTA UBICAZIONE DELL’IMPUTATO
Vittoria per l’imputato accusato di concorso in omicidio e in rapina aggravata, giacché non veniva dimostrata la sua presenza sul luogo del reato, visto che la prova incriminatoria si basava esclusivamente sull’aggancio del suo telefono ad una cella in loco.
Per la recente pronuncia della Corte di Cassazione penale, sez. V, del 14/02/2023, (ud. 14/02/2023, dep. 27/03/2023), n.12771, non poteva fondare una condanna il solo fatto che il telefono dell’uomo si fosse agganciato alla cellula, perché violativa del principio di innocenza, per cui nessuno può essere ritenuto colpevole se non a fronte di una prova certa o di indizi tanto gravi e concordanti, da rendere accertata la responsabilità del prevenuto, al di là di ogni ragionevole dubbio
In particolare, nella vicenda sottesa alla pronuncia in esame, la Magistratura, in secondo grado, in parziale riforma della sentenza della Corte di assise, aveva confermato la responsabilità di un uomo, ritenuto colpevole di aver concorso con altri alla commissione dei reati di rapina aggravata e omicidio preterintenzionale, pur rideterminandone la pena.
L’uomo quindi ricorreva in Cassazione, affidando la propria difesa a quattro motivi: il vizio di motivazione, giacché la Corte territoriale, pur avendo rilevato che l’imputato non era presente al momento della rapina, aveva ritenuto che egli aveva effettuato un sopralluogo, solamente perché il suo telefono aveva agganciato per due minuti una cellula vicina al luogo dell’evento; violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al delitto di omicidio preterintenzionale, perché non vi è prova del nesso eziologico tra gli atti diretti a percuotere o ledere la persona offesa ed il suo decesso; la violazione dell’art. 116, comma 2, c.p. e vizio di motivazione, perché non era stata riconosciuta al ricorrente la diminuente del concorso anomalo; la violazione dell’art. 81 cpv. c.p. e vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della rideterminazione della pena.
Ebbene il ricorso veniva ritenuto fondato, in ordine al primo motivo, ritenuto assorbente delle altre doglianze.
In sostanza avrebbe errato il Collegio ritenendo che la collaborazione dell’imputato al reato si fosse estrinsecata in un sopralluogo preventivo presso l’abitazione della vittima e nell’aiuto successivamente prestato agli effettivi autori del reato, circostanza questa desunta dal solo tracciato delle celle telefoniche agganciate dall’utenza del ricorrente.
Come rilevato dal ricorrente, la motivazione appariva apodittica anche alla Suprema Corte, giacché
“E’ massima di esperienza che ogni apparato telefonico mobile emette una frequenza che consente allo stesso di collegarsi alla cd. ‘cellà più vicina quando vi è traffico telefonico in atto. Ogni cella si riferisce a una determinata porzione di territorio, entro la quale è collocata un’antenna capace di recepire il segnale del telefono che si venga a trovare in sua prossimità. Poiché il segnale è ricevuto con intensità diversa a seconda della vicinanza a una cella o a un’altra, è possibile stabilire soltanto con una certa approssimazione la posizione del telefono che emette il segnale. Poiché, dunque, l’apparato radiomobile che aggancia una determinata cella può trovarsi in tutti i punti del territorio che ricadono all’interno di essa, la possibilità di identificare la sua posizione è strettamente collegata alla superficie di copertura della cella stessa: in altri termini, la precisione è maggiore se la cella è piccola (cella urbana), minore, se si tratta di una ‘macrocellà, tipica degli ambienti extraurbani. A ciò dovendosi aggiungere che, in particolari condizioni di sovraccarico telefonico, è ben possibile che l’apparato telefonico mobile agganci una cella contigua alla porzione di territorio in cui si trovi, che risulti più libera. Le indicazioni fornite dal segnale captato dalla cella non consentono, dunque, l’esatta localizzazione dell’utenza abbinata ad un apparecchio telefonico mobile, sussistendo margini di errore anche di centinaia di metri, se non di chilometri”
Alla luce della suddetta ricostruzione, la corte d’Appello non poteva desumere la presenza dell’imputato in loco solo perché il suo telefono si era agganciato per un paio di minuti ad una cella telefonica vicina al luogo dell’evento, sia in quanto l’utenza ben poteva essere detenuta da altri, sia in quanto non dava alcuna prova certa della responsabilità dell’uomo.
In conclusione dunque la sentenza del secondo grado veniva cassata con con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello territorialmente competente.
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Cassazione penale sez. V – 14.02.2023, n. 12771