SULLA RESPONSABILITÀ MEDICA


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Ancora una pronuncia sulla responsabilità medica

Corte di Cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 05315 del 2020

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento è intervenuta per chiarire che la condotta colposa tenuta dai sanitari, anche se non idonea ad aggravare le condizioni di salute del paziente, è rilevante nel caso in cui allunghi il periodo di guarigione.

Nel caso di specie la Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva assolto “perché il fatto non sussiste” tre medici, dal reato di cui all’art. 590 c.p., a loro contestato per non aver diagnosticato al paziente la presenza di una frattura della vertebra L1, omettendo di porre in essere gli adeguati accertamenti al fine di assicurarne la guarigione, determinando l’aggravamento delle sue condizioni.

La vicenda in questione origina quando il ricorrente, in seguito ad una caduta in moto, era stato trasportato in ospedale e, una volta sottoposto ad accertamenti era emersa la frattura del malleolo e un’infrazione di L4. Lamentando continui dolori alla schiena era stato sottoposto a radiografia con esito negativo e dimesso il giorno seguente.


Trascorsi trenta giorni l’uomo si era rivolto presso un altro ospedale, al fine sia di farsi rimuovere il gesso che di chiarire la natura della persistente sintomatologia algica alla schiena. In seguito ad una TAC gli era stata rilevata la presenza del crollo della vertebra L1 con frattura pluriframmentata, trattata con l’applicazione di un busto per 60 giorni.

La Corte d’Appello, pur avendo riconosciuto antidoverosa la condotta dei tre sanitari, per non aver eseguito i necessari approfondimenti diagnostici, ne aveva escluso la rilevanza, ritenendo che

“secondo i periti i lievi esiti algodisfunzionali ascrivibili al tipo di frattura lombare L1 sono primitivamente ascrivibili all’evento traumatico ed indipendenti dall’inadeguato trattamento”.

Nell’adire la Corte di Cassazione il ricorrente lamenta vizio di motivazione sottolineando l’evidente rapporto tra l’errore diagnostico commesso dai tre imputati ed il prolungamento della malattia.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno accolto il ricorso, rilevando come il ragionamento della Corte territoriale muova da una nozione di malattia della giurisprudenza di legittimità risalente a diversi anni orsono, secondo cui:

“ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia giuridicamente rilevante non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono in realtà anche mancare, bensì solo quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa”.


Nel caso di specie l’inadeguato trattamento coincide con il ritardo nella diagnosi e nel trattamento, poi effettivamente posto in essere dai medici intervenuti in un secondo momento trenta giorni dopo le dimissioni.

Alla luce di tali considerazioni si deve stabilire se possa considerarsi “malattia” non l’aggravamento della lesione, ma il prolungamento del tempo necessario per la sua riduzione e/o stabilizzazione.

La risposta a tale quesito è affermativa e deve essere ricavata dal rapporto intercorrente fra il concetto giuridico di lesioni e quello di malattia.

La malattia, nella nozione penalistica non è

“il post factum della lesione, ma ne costituisce il nucleo intrinseco”.
“L’utilizzo del verbo deriva, nel testo della norma cardine di cui all’art. 582 c.p. non indica un rapporto di consequenzialità, ma cristallizza il concetto penalistico di malattia come connotato dalla nozione penalistica di lesione personale”.

Pertanto è sulla durata della malattia o sulla specificità dell’alterazione funzionale che ad essa ne deriva che l’ordinamento misura la sanzione penale, con l’introduzione delle aggravanti ex art. 583 c.p., commi 1 e 2.

“L’ordinamento, infatti, misurando la durata della malattia come tempo necessario alla guarigione o al consolidamento definitivo degli esiti della lesione, assegna al tempo un peso che incide sulla quantità della sanzione, palesando una scelta che pone all’interno della reazione penale anche l’intervallo necessario per il raggiungimento di un nuovo stato di benessere della persona offesa, ancorché di benessere degradato, purché stabile”.

Sulla base di quanto appena affermato si ricava che qualsiasi condotta colposa che intervenga sul tempo utile per la guarigione, per se non produce un aggravamento della lesione, assume rilievo penale nel caso in cui allunghi il periodo necessario al raggiungimento della guarigione.

Avv. Tania Busetto

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