SALVARE I CANI DA LUOGHI DI PRIGIONIA


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È reato rubare un animale per sottrarlo al maltrattamento?

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 40438 del 2019

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva riconosciuto gli imputati, responsabili del delitto di furto in abitazione in concorso pluriaggravato, di sessantasette cani di razza beagle, sottratti da uno stabilimento di proprietà della persona offesa, riconoscendo inoltre l’attenuante ex art. 62 n. 1 c.p. dell’essere stato l’agire dei colpevoli ispirato da motivi di particolare valore morale o sociale.

Nel ricorrere in Cassazione gli imputati lamentano la mancanza del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, in quanto l’impossessamento dei cani da parte degli imputati non sarebbe stato animato dal fine di conseguire dagli animali stessi una qualsivoglia utilità.

Gli imputati avevano agito al solo scopo di “salvare i cani da un luogo di prigionia”, tale essendosi accertato essere, sulla base di una pronuncia del giudice, lo stabilimento in questione, i cui responsabili erano stati tutti condannati per il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 544-bis e ter c.p..

Oltretutto lamentano anche il mancato riconoscimento in loro favore della scriminante della legittima difesa, in relazione al pericolo di danno attuale e concreto cui si trovavano esposti, al contempo, il loro diritto a non assistere alla perdurante sofferenza animale e il diritto degli animali stessi, a godere del benessere connaturato alle loro caratteristiche etologiche.

Tali diritto dovevano ritenersi prevalenti rispetto a quelli del proprietario, a maggior ragione del fatto che i proprietari della società che gestiva i cani, erano stati condannati per aver sottoposto gli animali a trattamenti incompatibili con i loro “pattern comportamentali”.

La parte offesa aveva sollevato in giudizio che la circostanza dell’asportazione dei cani aveva turbato la regolare gestione dell’azienda in quanto gli animali erano stati distolti dalla loro destinazione a scopi di sperimentazione scientifica.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno rammentato che, come già espresso con la pronuncia n. 22728 del 2018

“vanno considerati come cose anche gli esseri viventi suscettibili di utilizzazione da parte dell’uomo: non solo i vegetali, ma anche gli animali. L’uomo ha sempre manifestato verso gli animali, in quanto esseri senzienti, un senso di pietà e di protezione, quando non anche di affetto. Da qui l’esistenza, in tutte le epoche storiche, di precetti giuridici, essenzialmente di natura pubblicistica, posti a salvaguardia e a tutela degli animali. Il crescente ruolo che negli ultimi decenni hanno assunto gli animali da compagnia nella società contemporanea ha indotto uno speciale rafforzamento della loro tutela giuridica. Va tuttavia precisato che la disciplina pubblicistica che appresta tutela agli animali non rende comunque questi ultimi titolari di diritto, perché privi della c.d. capacità giuridica”.

Da qui la conclusione secondo la quale, alla stregua del disposto dell’art. 810 c.c. che definisce i beni come

“le cose che possono formare oggetto di diritti”,

gli animali, anche quelli di affezione o da compagnia, devono essere considerati

“cose mobili, beni giuridici che possono costituire oggetto di diritti reali, ovvero di rapporti negoziali”.

Quindi, affermata l’astratta configurabilità del delitto di furto, avente ad oggetto cani, deve tuttavia essere riconosciuto, nel caso di specie che non ricorrono gli estremi del contestato reato di cui all’art. 624-bis c.p.

La decisione impugnata, con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, aveva desunto la destinazione abitativa dello stabilimento in cui erano tenuti i cani, dall’essere detto luogo protetto da misure di sicurezza e interdetto all’accesso di estranei; tuttavia tale conclusione diverge dalla conclusione a cui è pervenuto il diritto vivente, il quale ha delineato la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti elementi: l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata, la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, la non accessibilità del luogo da parte di terzi.

Nel caso di specie, i capannoni in cui erano allevati i cani non possono farsi rientrare nella destinazione abitativa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30073 del 2018 ha affermato che

“il dolo specifico del reato di cui all’art. 624-bis c.p., che si identifica nel fine di profitto che deve perseguire il soggetto agente, coincide di regola, nella possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell’utilità economico/patrimoniale e, quindi, consiste in un’attività ulteriore rispetto all’impossessamento”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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