PMA: LA CORTE COSTITUZIONALE DICE “NO” PER LE COPPIE OMOSESSUALI


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Con la sentenza n. 221 del 2019, la Corte Costituzionale pone fine ad una dibattuta questione, ossia l’accesso alla procreazione medicalmente assistita per le coppie dello stesso sesso

Il Tribunale ordinario aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 2, 3, 31, secondo comma, 32, primo comma e 117 primo comma della Costituzione, degli articoli 5 e 12, commi 2 9 e 10 della legge 19 febbraio 2004 n. 40 inerente alle norme in materia di procreazione medicalmente assistita nella parte in cui limitano l’accesso alle tecniche di procreazione assistita alle sole “coppie di sesso diverso” e sanzionano chiunque applichi dette tecniche “a coppie composte da soggetti dello stesso sesso”.

Nello specifico il giudice era stato investito della questione da due donne, parti di una unione civile, in seguito al rifiuto opposto dalla locale Azienda sanitaria alla loro richiesta di accesso alla PMA.

Le due donne, durante il corso della loro relazione, avevano maturato il desiderio di genitorialità, tanto che una di loro si era recata all’estero ed aveva intrapreso un percorso di PMA, all’esito del quale aveva dato alla luce due gemelli; adesso anche l’altra donna voleva diventare madre ma non voleva recarsi all’estero e spendere un’ingente somma di danaro, per tale motivo si era rivolta all’Azienda per l’assistenza sanitaria che tuttavia aveva respinto la sua richiesta in base all’art. 5 della Legge n. 40 del 2004, che riserva la fecondazione assistita solamente alle coppie di sesso diverso.

L’articolo 5 sopra richiamato dispone che

“fermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.

L’articolo 12 della legge 40 del 2004, punisce al secondo comma, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000,00 a 40.000,00 euro,

“chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell’articolo 5, applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie che siano composte da soggetti dello stesso sesso”,

inoltre il seguente comma 9 dispone

“la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale nei confronti dell’esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al medesimo articolo”.

Secondo le ricorrenti il divieto di accesso alla PMA, stabilito nei confronti delle coppie omosessuali, si porrebbe in contrasto con l’articolo 2 della Costituzione, in quanto non garantirebbe il diritto fondamentale alla genitorialità dell’individuo, sia come soggetto singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Inoltre le norme censurate violerebbero l’articolo 3 della Costituzione, dando origine a disparità di trattamento basate sull’orientamento sessuale e sulle condizioni economiche dei cittadini.

Recente giurisprudenza riconosce piena efficacia nel nostro ordinamento agli atti di nascita stranieri relativi a minori concepiti all’estero con tecniche di PMA da partner dello stesso sesso, con conseguente attribuzione della qualità di genitori ad entrambi i partner; per tale motivo, impedire il ricorso a tecniche di PMA a coppie dello stesso sesso nel nostro Paese e nel contempo riconoscerne pienamente gli effetti se operate all’estero rappresenterebbe “una intollerabile ipocrisia interpretativa” .

La progressiva eliminazione, da parte della Corte Costituzionale, con le sentenze n. 151 del 2009, n. 162 del 2014 e n. 96 del 2015, di alcuni divieti posti dalla sopra citata legge sarebbe frutto di una analisi specifica non riassumibile in un giudizio di valore unitario, in quanto la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli e la libertà di diventare genitori non implica che essa possa esplicarsi senza limiti.

Il caso in questione non riguarda un’ipotesi di “genitorialità sociale” tramite la quale possa essere tutelato il minore, anche all’interno di coppie omosessuali, ma solamente il diritto di un adulto di procreare.

La Corte Costituzionale ha chiarito che la legge n.40 del 2004, stabilendo che alle tecniche di PMA possano accedervi solamente le coppie formate da persone di “sesso diverso” e prevedendo sanzioni amministrative a carico di chi le applica a coppie “composte da soggetti dello stesso sesso” nega in modo puntuale ed inequivocabile alle coppie omosessuali la fruizione di tali tecniche.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato in diverse occasioni che nella materia della PMA, la quale solleva delicate questioni di carattere etico e morale, gli Stati conservano un ampio margine di apprezzamento.

La possibilità di una scissione tra l’atto sessuale e la procreazione, mediata dall’intervento di un medico pone un’interessante quesito, ossia se si possa configurare un “diritto a procreare”.

Le soluzioni previste dalla legge n. 40 del 2004 sono restrittive e riflettono due idee di base: la prima attiene alla funzione delle tecniche di PMA che, in base alla legge servono come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente causa patologica e non altrimenti removibile, escludendo che tale tecnica possa rappresentare una  via alternativa per realizzare il desiderio di genitorialità.

La seconda direttrice attiene alla struttura del nucleo familiare scaturente dalle tecniche di PMA. La legge prevede tutta una serie di limitazioni di ordine soggettivo all’accesso di tali tecniche

“alla cui radice di colloca il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre”.

Secondo la Cassazione

“l’ammissione alla PMA delle coppie omosessuali, esigerebbe la diretta sconfessione, sul piano della tenuta costituzionale, di entrambe le idee guida sottese al sistema delineato dal legislatore del 2004, con potenziali effetti di ricaduta sull’intera platea delle ulteriori posizioni soggettive attualmente escluse dalle pratiche riproduttive”.

L’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale non è omologabile a quella della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive, così come non lo è l’infertilità “fisiologica” della sola donna all’interno della coppia eterosessuale in età avanzata.

L’esclusione dalla PMA delle coppie omosessuali non crea alcuna distonia con quanto stabilito dalla norma di riferimento.

In tal senso si è espressa anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha affermato che

“una legge nazionale che riservi l’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendone una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU; ciò proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quella delle prime”.

Si deve fare una precisazione, la differenza tra l’adozione e la PMA è che la prima presuppone l’esistenza in vita dell’adottato e non serve a dare un figlio a una coppia, ma per dare una famiglia al minore che ne è privo. Invece la PMA serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza ad una coppia, realizzandone le aspirazioni genitoriali. Dato che il bambino deve ancora nascere non è irragionevole che il legislatore si preoccupi di garantirgli le migliori condizioni “di partenza”.

La censura rilevata dal Tribunale, secondo la quale la normativa in esame darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento in base alle capacità economiche, facendo sì che l’aspirazione alla genitorialità possa essere realizzata solamente da quelle coppie omosessuali in grado di sostenere i costi della PMA in uno dei Paesi esteri che lo consentono, è infondata.

Infatti

“il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione”.

Non è nemmeno ravvisabile la violazione dell’art. 32 Cost., sull’assunto che l’impossibilità di formare una famiglia assieme al proprio partner dello stesso sesso sarebbe suscettibile di incidere in maniera negativa sulla “salute psicofisica della coppia”, in quanto la tutela costituzionale della “salute” non può estendersi fino a ricomprendere la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che la coppia reputi essenziale.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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