NON SI PUÒ AGGIUNGERE IL COGNOME MATERNO SENZA IL CONSENSO DEL PADRE

La  mamma non può aggiungere al figlio il proprio cognome a quello del papà ove non ci sia  il suo consenso

T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., (ud. 17/07/2018) 26-11-2018, n. 11410

Il quadro normativo

L’art. 89, comma 1, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 , modificato dal D.P.R. 13 marzo 2012, n. 54, stabilisce, che:

“salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta”.

La giurisprudenza amministrativa (Cons. St., III, 15 ottobre 2013, n. 5021) ha chiarito che la domanda proposta ai sensi dell’art. 89, D.P.R. n. 396 del 2000 può essere sostenuta anche da intenti soggettivi ed atipici, purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale.

I fatti di causa

Una donna presentava istanza al Prefetto  al fine di poter aggiungere il suo cognome a quello del padre in favore del figlio minore.

Il bimbo, nato da una relazione tra i due genitori conviventi, veniva riconosciuto dal padre e poi veniva affidato, una volta concluso il rapporto, alla madre ed i rapporti venivano regolati dal Tribunale  per i minori che disponeva l’esercizio congiunto della potestà genitoriale.

La Prefettura, comunicava alla madre, con avviso ex art. 10 bis, L. n. 241 del 1990, che il padre del minore aveva proposto formale opposizione all’istanza di cambiamento del cognome e sulla base di questo respingeva la domanda non sussistendo un’ipotesi di decadenza dalla potestà genitoriale né altre comprovate peculiari circostanze familiari.

La donna quindi propone ricorso al. T.A.R.

La decisione dei giudici

Innanzitutto si deve premettere che Consiglio di Stato, IV, 27 aprile 2004, n. 2752 e 26 giugno 2002, n. 3533 ha avuto modo di statuire che

 “il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento di nome, ai sensi degli artt. 153 e seguenti del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, costituisce, (…), provvedimento eminentemente discrezionale, in cui la salvaguardia dell’interesse pubblico alla tendenziale stabilità del nome, connesso ai profili pubblicistici dello stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale, può venire contemperata con gli interessi di coloro che quel nome intendano mutare o modificare nonché di coloro che a quel mutamento intendano opporsi”

Detto ciò, il sindacato giurisdizionale dello stesso può essere condotto, quanto al vizio intrinseco dello sviamento, sotto il limitato profilo della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione.

Il Giudice amministrativo non accoglie il ricorso e per giungere alla sua decisione svolge questo percorso logico:

“nel nostro ordinamento vige la norma in base alla quale il cognome del padre si estende ipso jure al figlio,  e la Corte Costituzionale, ha espressamente affermato, come già incidentalmente aveva fatto nel 2006 (sentenza n. 61 del 2006), l’incompatibilità della norma de qua con i valori costituzionali della uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”.

Nonostante gli aggiornamenti normativi, le modifiche non hanno attinto la disciplina dell’attribuzione “originaria” del cognome, effettuata al momento della nascita.

“Nella famiglia fondata sul matrimonio rimane così tuttora preclusa la possibilità per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome, nonché la possibilità per il figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della madre.”

La Corte ritiene che questa  preclusione pregiudichi il diritto all’identità personale del minore e, al contempo, costituisca un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi ed in questo senso si è espressa  anche  la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

“In particolare, nella sentenza Cusan Fazzo contro Italia, del 7 gennaio 2014, successiva all’ordinanza di rimessione in esame, la Corte di Strasburgo ha affermato che l’impossibilità per i genitori di attribuire al figlio, alla nascita, il cognome della madre, anziché quello del padre, integra violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione), in combinato disposto con l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della CEDU, e deriva da una lacuna del sistema giuridico italiano, per superare la quale “dovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e/o nelle prassi italiane”. La Corte EDU ha, altresì, ritenuto che tale impossibilità non sia compensata dalla successiva autorizzazione amministrativa a cambiare il cognome dei figli minorenni aggiungendo a quello paterno il cognome della madre.”

La Corte Cost. con  la sentenza 21 dicembre 2016, n. 286 statuisce che

“la piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori”

Proprio sulla base di tali principi si è dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.

Ciò nonostante la richiesta del cambiamento di cognome per un minore deve necessariamente provenire dai soggetti che ne hanno la rappresentanza legale, quindi, nel caso di specie dagli esercenti la potestà genitoriale.

Pertanto nel caso di accordo tra i genitori si applicano i principi dell decisione n. 286/2016 e quindi può essere aggiunto al cognome paterno quello materno.

In caso di disaccordo, all’opposto, tali principi non sono immediatamente applicabili.

Ai sensi  dell’art. 320 c.c.  i genitori esercitano “congiuntamente” i poteri di rappresentanza dei figli “in tutti gli atti civili“.

La richiesta di modifica del cognome del figlio minore, integra un “atto civile”, e può essere presentata,

“allora, dai genitori solo nell’esercizio della rappresentanza legale che trova la sua fonte e disciplina nell’art. 320 c.c., di guisa che deve ritenersi a tal fine imprescindibile il consenso di entrambi i genitori, fatto salvo solo il caso – che qui non ricorre – in cui uno di essi sia stato privato della potestà genitoriale.”

In caso di disaccordo, conclude il giudice amministrativo

“si applicano allora le disposizioni dell’art. 316 c.c., che per il caso di contrasto su questioni di particolare importanza prevede la possibilità, per ciascuno dei genitori, di ricorrere senza formalità al giudice civile.”

Pertanto nessuna censura può essere mossa al Prefetto.
Avv. Tania Busetto

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