NON PRESTA IL CONSENSO, NON GLI VIENE PRATICATA L’ANTITETANICA E MUORE: CONDANNATI I SANITARI
Consenso informato: non integra il reato di lesioni personali, nè quello di violenza privata il medico che sottoponga il paziente ad un trattamento terapeutico in relazione al quale non sia stato prestato il consenso informato, nel caso in cui da questo, sia derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso
Cass. pen., Sez. IV, Sentenza del giorno 11-07-2018, n. 31628
I fatti di causa
A due sanitari venivano ascritti i reati di cui agli arti. 113 e 589 c.p. poiché per colpa cagionavano la morte di una donna, che sopravveniva per grave insufficienza respiratoria conseguente a grave infezione tetanica non trattata presso l’ospedale durante il precedente ricovero avvenuto a causa di diverse ferite da taglio all’addome e ai polsi auto inferte.
Gli imputati venivano condannati (concesse le attenuanti generiche ad entrambi) dal Tribunale per avere omesso i comportamenti sanitari dagli stessi dovuti in ragione della posizione di garanzia assunta nelle diverse fasi del ricovero e della dimissione della donna.
In particolare il medico che aveva avuto in cura la paziente al Pronto Soccorso non le aveva praticato la profilassi antitetanica e antibiotica ritenuta necessaria data la natura delle ferite che erano risultate profonde e sporche di terra.
L’altro sanitario invece non aveva preso parte agli interventi terapeutici perchè relativi ad altra branca ospedaliera e si era attivato per ottenere un consulto psichiatrico per la ricoverata la cui condizione di depressa cronica faceva temere ulteriori atti di autolesionismo, ma a lui si rimproverava di avere firmato la dimissione della paziente pur avendo constatato la mancata esecuzione di profilassi antitetanica.
Dalla CTU si evinceva che il decesso era stato causato dall’infezione di tetano e sia per il Tribunale che per la Corte di Appello l’
“obbligo di prevedere e prevenire un’infezione, ben ipotizzabile alla luce delle lesioni riportate, era imposto, oltre che scienza ed esperienza, anche dalla circolare della Regione Campania n. 3358 del 07/03/97 e dalla n. 16 del 11/11/96: documenti che stabiliscono che, in caso di primo intervento nei confronti di pazienti “traumatizzati“, in situazione di emergenza, non si raccoglie alcun consenso informato per l’inoculazione del siero antitetanico dovendo il diritto dispositivo, nel quale si sostanzia il consenso, soccombere al cospetto dell’urgenza di intervenire”.
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Contro tale ponuncia il primo sanitario ricorreva in Cassazione sostenendo che è principio di diritto nonché presupposto di liceità del trattamento medico-chirurgico il consenso del paziente.
Inoltre , egli riteneva, che non avrebbe dovuto disattenderlo alla luce delle menzionate due circolari della Regione Campania, le quali non assurgono certo al rango delle norme di legge, nazionali e convenzionali.
Anche il secondo sanitario che aveva firmato le dimissioni ricorreva in Cassazione ribadendo che non si era effettivamente occupato della paziente, potendo il suo adempimento, di genere amministrativo, ritenersi meramente formale e non sostanziale, tenuto conto che egli non aveva preso in carico la paziente nè mai l’aveva visitata.
Riteneva quindi che la sua posizione è equiparabile a quella, archiviata, dell’ortopedico e che la sua condanna del si fondava su una responsabilità oggettiva estranea ai principi del nostro diritto penale.
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La decisione della Corte
I ricorsi vengono rigettati.
Nel caso di specie la necessità del consenso informato è del tutto inconferente: in questa vicenda
“il rimprovero mosso ad entrambi i sanitari ciascuno rispetto agli incombenti svolti e alle rispettive fasi del ricovero e della dimissione – è di non aver praticato alla persona offesa la necessaria terapia antitetanica, comportamento doveroso che, se attuato, avrebbe evitato l’insorgenza dell’infezione per la quale la donna successivamente moriva. Esattamente la Corte di appello di Napoli afferma che la profilassi antitetanica ed antibiotica risultava necessaria proprio in considerazione della natura delle ferite, all’evidenza immediata profonde e sporche di terra, così come peraltro aveva rilevato l’ortopedico R. il quale, intervenuto su richiesta del S. per accertare eventuali lesioni tendinee, aveva consigliato di eseguire una profilassi antitetanica”.
A riguardo le Sezioni Unite con sent. n. 2437/2008 hanno precisato che
“non integra il reato di lesioni personali, nè quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento terapeutico in relazione al quale non sia stato prestato il consenso informato, nel caso in cui questo, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso”.
Inoltre in questo caso si era in presenza di una situazione di emergenza in cui la paziente, per la patologia psichiatrica non era condizione di esprimere alcun consenso.
Di fronte ad una situazione di pericolo per l’integrità fisica del paziente, il medico, titolare di una posizione di garanzia rispetto allo stesso, ha l’obbligo di procedere alle cure necessarie, predisponendo i presidi e i trattamenti atti a prevenire conseguenze pregiudizievoli o, addirittura, letali.
“L’ambito dell’obbligo di garanzia gravante sul medico di pronto soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che si definisce medicina d’emergenza o d’urgenza. In tale ambito rientrano l’esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l’individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie.
Delineata entro tale ambito la posizione di garanzia del medico di pronto soccorso, la mancata prestazione di presidi terapeutici fondamentali per la vita del paziente si configura come la negligenza, l’imperizia e l’imprudenza che integrano la colpa grave, non ponendosi, pertanto, un problema di successione di leggi nel tempo”.
Avv. Tania Busetto