MALTRATTARE GLI ANIMALI E’ REATO

E’ REATO TENERE GLI ANIMALI IN CONDIZIONI ANCHE POTENZIALMENTE LESIVE E SOFFERENTI

Ai sensi dell’art. 727 c.p.

Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.”

La L. 22 novembre 1993, n. 473, di modifica dell’art. 727 c.p., mutando radicalmente il presupposto giuridico di fondo sotteso alla tutela penale degli animali, li ha considerati non più fruitori di una tutela indiretta o riflessa, nella misura in cui il loro maltrattamento offende il comune sentimento di pietà, ma destinatari di una tutela diretta, orientata a ritenerli come esseri viventi.

La condotta criminosa punita dalla norma, consiste nel lasciare solo e senza cure un animale domestico di qualsiasi tipo o nel mantenerlo in condizioni incompatibili con la sua natura, anche solo per semplice negligenza, non essendo richiesto, per l’integrazione della fattispecie criminosa, la consapevolezza e volontà del soggetto agente.

In materia risulta interessante la sentenza della III Sezione della Cassazione penale del 06/10/2022, n.39844, per cui

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 727 c.p., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell’animale, ma anche in quella che produce meri patimenti”

In particolare, nella fattispecie sottesa alla pronuncia in esame, l’imputato ricorreva avverso la decisione di condanna del Giudice per le indagini preliminari che, all’esito di giudizio abbreviato, lo aveva dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 727 c.p.

perché deteneva, all’interno della propria abitazione, sette cani in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze fisiche e psichiche”.

Il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 727 c.p. dogliandosi del fatto che il Tribunale l’aveva condannato solo presumendo la sussistenza delle ipotizzate sofferenze a carico degli animali, senza invece dimostrare che ci fosse un effettivo patimento e senza considerare che gli animali erano portati a passeggio regolarmente ogni giorno.

Per il ricorrente dunque, non era stato comprovato che il trattamento dei propri animali domestici  fosse del tutto inconciliabile rispetto alla loro natura.

In secondo luogo poi il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 132,133 e 133-bis c.p.  giacché la pena era stata comminata al massimo edittale, senza giustificazione e senza valutare che lo stesso versava in una situazione di indigenza.

Da ultimo il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 133 e 62-bis c.p. ritenendo ingiusto il diniego delle circostanze attenuanti generiche, giacché la decisione era pressoché immotivata e la violazione dell’art. 163 c.p., atteso che anche la prognosi sfavorevole alla concessione della sospensione condizionale della pena era sorretta da argomentazioni generiche, nonché dell’art. 442 c.p.p., comma 2, giacché il Tribunale avrebbe irrogato una pena ingiusta, perché diminuita per la scelta del rito abbreviato di 1/3 e non di 1/2 in considerazione della natura contravvenzionale del reato oggetto di condanna.

Per quel che interessa l’argomento in esame, la Suprema Corte, annullava la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena ed alla sospensione condizionale, con rinvio per nuovo giudizio innanzi al Tribunale di merito, però rigettando il resto del ricorso, per il ragionamento già richiamato, che si approfondisce di seguito.

Per la Corte, per l’integrazione del reato previsto e punito all’art. 727 c.p.

Assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione” (cfr. Sez. 7, n. 46560 del 10/7/2015, Francescangeli e altro, Rv. 265267).

Così, come anche specificato dalla Suprema Corte, il reato in esame viene integrato anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce; le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione e/o la modalità di detenzione degli animali, è capace di recare gravi sofferenze agli animali e non importa se il proprietario dell’animale, che avrebbe dovuto prendersene cura, è consapevole dell’erroneità del comportamento, giacché viene punita dalla norma anche la mera negligenza né rileva, per la configurazione del reato, che l’animale abbia effettivamente riportato lesioni giacché è sufficiente che la condotta si sia tradotta in meri patimenti (cfr. Sez. 6, n. 17677 del 22/3/2016, Rv. 267313, Sez.3, n. 49298 del 22/11/2012, Rv.253882 – 01, Sez.5, n. 15471 del 19/01/2018, Rv.272851 – 01; Sez.3, n. 175 del 13/11/2007,dep.07/01/2008,Rv.238602 – 01).

Nel caso concreto, il Giudice di merito aveva ritenuto la colpevolezza dell’imputato, considerando  le condizioni di sporcizia dell’immobile (le pareti erano scolorite, macchiate e corrose da urina e muffa; i pavimenti erano incrostati di sporco e rifiuti; gli spazi già angusti erano ulteriormente ridotti per l’ammasso di mobili e cianfrusaglie) la mancanza di luce dell’ambiente e la noncuranza  per le condizioni igieniche dei cani, da cui derivava che gli animali erano detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura.

In conclusione dunque, la Suprema Corte annullava la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena ed alla sospensione condizionale, rinviando per nuovo giudizio al Tribunale di merito e rigettava nel resto il ricorso.

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Cassazione penale sez. III 06.10.2022 (ud. 06.10.2022 dep. 21.10.2022) n.39844