LO STALKING A MEZZO SOCIAL E CHAT

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 21693 del 2018 si pronuncia riguardo il reato di stalking posto in essere mediante Fb, whatsapp e telefono

I fatti di causa:

Tizio era stato condannato sia dal Tribunale di riesame di Roma che dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da Caia, in relazione all’imputazione provvisoria di atti persecutori in danno della stessa, minacciata e molestata da Tizio ripetutamente mediante assillanti comunicazioni a mezzo telefono, fb e whatsapp a tal punto da cagionarle un perdurante stato di ansia e paura.

Contro tale pronuncia Tizio ha proposto ricorso in Cassazione, ritenendo che vi fossero dei vizi di motivazione.

V. anche

Secondo l’uomo, le minacce non si sarebbero mai concretizzate e in ogni caso si sarebbe trattato di un solo episodio, risalente a quasi due anni prima dell’adozione della misura cautelare; pertanto la querela della donna è da ritenersi tardiva, sia considerando il reato di minaccia che quello di atti persecutori.

La pronuncia della Corte:

Gli Ermellini, con la sentenza in commento hanno ritenuto il ricorso inammissibile.

V. anche

Il giudice del riesame prende in considerazione due messaggi minacciosi inviati dal ricorrente alla donna; con il primo dei quali prospettava di fare “un macello” se avesse scoperto che il figlio si trovava insieme alla madre e a “quell’altro”, ossia al nuovo compagno della stessa, mentre il secondo si riferiva al dar fuoco ad un lettino.

La condotta del ricorrente si è aggravata subito dopo la separazione e la scoperta che l’ex moglie aveva intrecciato una relazione amorosa con un altro uomo.

V. anche

L’art. 612 bis c.p. dispone che:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’art. 612, secondo comma. Se procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.”

Dott.ssa Benedetta Cacace


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