L’AVVOCATO SENZA PROCURA SPECIALE PUÒ INCASSARE SOMME PER IL CLIENTE?

Secondo la Cassazione, l‘avvocato senza procura speciale all’incasso è qualificabile come indicatario di pagamento

La Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22544 del 25 settembre 2018, torna su un argomento spesso discusso e controverso nei rapporti tra avvocato e cliente, il potere di incassare somme e rilasciare quietanze.

La sentenza in commento è stata emessa all’esito di una controversia tra una società, il suo legale e il Ministero della Giustizia.

L’azienda riteneva che l’avvocato avesse illegittimamente trattenuto alcune somme a lei spettanti e che i funzionari di cancelleria, ponendo in essere una condotta omissiva e negligente, avessero causato il danno.

In particolare, la società ha convenuto innanzi al Tribunale di Perugia il suo avvocato e il Ministero della Giustizia, affermando di aver conferito al primo una procura generale alle liti per atto notarile, priva, però, del potere di incassare e rilasciare quietanze.

Con detto documento, il legale ha ottenuto dalla cancelleria dell’ufficio esecuzioni del Tribunale di Perugia diversi mandati di pagamento, per complessivi € 346.700,75, oltre accessori, in relazione a diverse procedure esecutive in cui la società stessa risultava creditrice.

Secondo l’allora attrice, l’avvocato ha illegittimamente trattenuto tali somme, grazie alla condotta omissiva e gravemente negligente dei funzionari di cancelleria (perciò la citazione anche del Ministero della Giustizia).

Con la sentenza di primo grado, la s.p.a. ha vista parzialmente soddisfatta la propria pretesa, con la condanna dell’avvocato al risarcimento del danno patrimoniale per € 365.308,11, nonché del Ministero limitatamente al minore importo di € 260.740,21.

In sede di gravame, la Corte di Appello di Perugia, accogliendo l’appello principale proposto dal Ministero della Giustizia, ha rigettato la domanda risarcitoria nei confronti di questo.

Secondo i giudici di secondo grado, infatti, dall’interpretazione della procura generalealle liti, condotta alla stregua dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, e art. 1367 c.c., si sarebbe dedotto che il pagamento effettuato verso l’avvocato avesse effetto liberatorio ai sensi dell’art. 1188 c.c..

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, la società ha proposto ricorso per cassazione basandosi su sei motivi:

1. violazione e falsa applicazione dell’art. 84 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto tra gli atti che comportano disposizione del diritto e che necessitano del conferimento di mandato speciale, rientrerebbero anche la riscossione dei crediti ed il rilascio delle rispettive quietanze, con conseguente qualifica di falsus procurator del difensore e la mancata efficacia liberatoria del pagamento.

2. violazione e falsa applicazione dell’art. 1188 c.c., comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello considerato l’avvocato non come difensore, bensì come indicatario dei pagamento, basandosi su due ragioni.

a. la necessità di interpretare alla stregua del principio della conservazione del contratto (art. 1367 c.c.) le clausole contrattuali che estenderebbero i poteri rappresentativi del legale e lo qualificherebbero come indicatario a ricevere il pagamento.

b. un’interpretazione della procura che tiene conto del comportamento delle parti, in quanto la società aveva ricevuto, in passato, pagamenti per mezzo dell’avvocato senza senza obiezioni di sorta.

3. violazione dell’art. 1363 c.cv. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)nonchè, subordinatamente, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto la Corte di Appello avrebbecontravvenuto al criterio della “interpretazione complessiva delle clausole“, nel compiere l’operazione ermeneutica che l’ha indotta a trarre, dalla procura generale alle liti, anche la qualificazione del legale come indicatario di pagamento.

4. violazione o falsa applicazione dell’art. 1367 c.c. ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. in quanto le clausole della procura hanno una portata più limitata rispetto a quella ipotizzata nella sentenza impugnata.

5. nullità della sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 3) nonchè, in via subordinata e alternativa, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, identificato nella tardiva produzione di una nota del 1992, in cui rilevava l’impegno del legale a versare nel più breve tempo possibile gli importi incassati.

6. nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 3) nonchè, in via subordinata e alternativa, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto nessuno dei due convenuti avrebbe dedotto provato che anche uno solo dei pagamenti effettuati dalla cancelleria fossestato riversato dall’avvocato alla società.

La decisione della Corte

Secondo la Terza Sezione, il ricorso non è fondato.

Riguardo il primo ed il secondo motivo, i giudici si rifanno alla giurisprudenza della Corte, secondo cui il

procuratore ad litem, se non è specificamente autorizzato, non è legittimato a riscuotere le somme dovute al proprio cliente ed a liberare il debitore” (Cass. Sez. 3, sent. 24 aprile 1971, n. 1199; Cass. Sez. 3, sent. 9 settembre 1998, n. 8927).

Tuttavia, pur in difetto di una specifica autorizzazione ad operare come rappresentante del creditore, la legittimazione del legale a riscuotere i crediti aziendali può trovare titolo nel conferimento di un autonomo potere, ex art. 1188 c.c., comma 1, di

ricevere la prestazione, quale mero indicatario di pagamento.

Infatti, l’art. 1188 c.c., “dopo avere enunciato la regola che il pagamento deve essere fatto al creditore, consente che questi può commettere anche ad altri soggetti di ricevere la prestazione, secondo il principio per cui la titolarità di un diritto non ne implica la necessaria gestione da parte del titolare, il quale ben può affidarla ad altri“; e pertanto, “il fatto che la legge distingua tra rappresentante e soggetto (espressamente o tacitamente) indicato dal creditore implica, poi, che la designazione del secondo (denominato anche adiectus solutionis causa) avviene al di fuori di un rapporto di rappresentanza in senso tecnico, come si ricava logicamente dal fatto che le due categorie di soggetti sono indicate distintamente” (Cass. Sez. 3, sent. 23 giugno 1997, n. 5579).

Secondo i giudici, dunque, a prescindere dall’esistenza di un potere di riscuotere la prestazione conseguente alla sua posizione di procuratore ad lites, l’avvocato potevaporsi come indicatario di pagamento, come ha ritenuto la Corte d’Appello, senza che il giudice di appello sia incorso in alcuna violazione e/o falsa applicazione degli artt. 84 c.p.c. e 1188 c.c..

Infondati sono anche il terzo e il quarto motivo.

Per la Cassazione, la procura ad litem

è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale, che va interpretato secondo i criteri ermeneutici stabiliti per gli atti di parte dal combinato disposto di cui all’art. 1367 c.c. e art. 159 c.p.c., nel rispetto in particolare del principio di relativa conservazione, in relazione al contesto dell’atto cui essa accede, rimanendo sotto tale profilo censurabile l’interpretazione datane dal giudice di merito solo per eventuali omissioni ed incongruità argomentative, e non anche mediante la mera denunzia dell’ingiustificatezza del risultato interpretativo raggiunto, prospettante invece un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità” (Cass. Sez. 1, sent. 12 ottobre 2006, n. 21924; Cass. Sez. 3, sent. 21 gennaio 2011, n. 1419).

Dunque,

la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui all’art. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319).

Sono infondati altresì il quinto e il sesto motivo.

La decisione della Corte d’Appello, invero, nel ritenere che il legale rivestisse la posizione di un mero adiectus solutionis causa, ha attribuito rilievo sia al contenuto della procura notarile alle liti, sia alla situazione di fatto esistente, ritenendo integrata

un’indicazione di pagamento per facta concludentia“.

Con il rigetto del ricorso, la Cassazione ha condannato la ricorrente società a rifondere al Ministero della Giustizia le spese di giudizio e all’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

Con tale sentenza, i giudici si conformano ad altre risalenti sentenze, in particolare le nn. 1199/1971, 8927/1998 e 5579/1997.

Essi, in sostanza, affermano che, a prescindere dal conferimento espresso del potere di riscuotere la somma, l’avvocato, per la sua qualifica di procuratore ad lites, può essere considerato un indicatario di pagamento.

Invero, come sottolineano i giudici, l’art. 1188 cod. civ., scolpisce la norma secondo cui il pagamento deve essere fatto al creditore, ma consente che altri soggetti possano ricevere la prestazione, tra i quali il rappresentante, la persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice.

Proprio la distinzione tra rappresentante e soggetto indicato dal creditore comporta che l’indicazione di quest’ultimo avvenga al di fuori di un rapporto di rappresentanza in senso tecnico e, per tale ragione, la lettera della norma distingue le due figure.

Avv. Silvia Zazzarini 


VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER