LA MATERNITÀ SURROGATA

MATERNITÀ SURROGATA: ASPETTI LEGALI

La surrogazione di maternità o surrogazione gestazionale o ancora gestazione d’appoggio, forse più conosciuta volgarmente come “utero in affitto”, è una tecnica di procreazione assistita ove una donna, detta gestante, si presta a portare a termine un’intera gravidanza su commissione di persone single o di coppie eterosessuali od omosessuali, incapaci di generare o concepire un bambino.

La surrogazione di maternità si differenzia dalla fecondazione assistita, proprio per l’estraneità della donna gestante rispetto alla coppia, di cui possono essere utilizzati i gameti di entrambi, di uno solo o di nessuno. A tal proposito, Il bambino che nasce da una maternità surrogata, pertanto, può essere figlio biologico dei suoi genitori (nel caso in cui la fecondazione sia avvenuta con gameti della coppia), di uno dei due o di nessuno (qualora si sia ricorso a una donazione sia di ovociti che di spermatozoi). La madre presta invece il suo intervento solo per portare avanti la gravidanza e partorire.

L’accordo di surrogazione, tra la gestante e coloro che saranno i futuri genitori del bambino, viene sancito attraverso un contratto con la quale vengono stabiliti ad esempio, il procedimento, le regole, le conseguenze, il possibile contributo alle spese mediche, l’eventuale retribuzione alla gestante e quant’altro. Una pronuncia, ormai non più tanto recente, del Tribunale di Monza, considerava

nullo il contratto con cui una donna consente, verso compenso, a ricevere il seme di un uomo e a portare a termine la gravidanza, rinunciando ai suoi diritti di madre (sulla base di tale principio, è stata respinta l’istanza di adempimento avanzata dalla coppia committente ed esclusa la possibilità di ripetere quanto pagato in anticipo a titolo di compenso per la maternità surrogata)”.

La maternità surrogata non è legale in tutti i paesi. In Italia, la surrogazione di maternità costituisce una pratica medica vietata. Tale divieto, rafforzato da sanzione penale, deriva dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, , in quanto attività contraria all’ordine pubblico interno, in ragione della tutela costituzionalmente garantita alla dignità umana della gestante, e tenuto conto che, nel superiore interesse del minore, l’ordinamento giuridico affida la realizzazione di un progetto di genitorialità privo di legame biologico con il nato solo all’istituto dell’adozione – che gode delle garanzie del procedimento giurisdizionale – e non al mero accordo fra le parti. Inoltre, La legge n. 40/2004 sancisce in modo espresso il divieto di ogni pratica di maternità surrogata, qualunque sia la sua forma, ed indipendentemente dalla circostanza che sia posta in essere a fini solidaristici o commerciali.

Per contro, si è sostenuto, invece che, il divieto di surrogazione di maternità, impedendo alla coppia, impossibilitata alla gestazione a causa di una patologia della donna, di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli, si ponga poi in formale contrasto con gli articoli 2, 3, e 31 della Costituzione, norme nelle quali la Corte Costituzionale ha radicato la fondamentale, generale e incoercibile libertà di autodeterminarsi nella sfera più intima e intangibile della persona umana. Va qui richiamata la sentenza 162/2014, nella parte in cui la Consulta ha affermato che

“..la scelta della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi..”, precisando come il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli , “..anche indipendentemente dal dato genetico..”, è favorevolmente considerato dall’ordinamento giuridico, emergendo dallo stesso istituto dell’adozione, per quanto finalizzato a garantire una famiglia ai minori, che comunque “..il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa..“.

Il frequente ricorso a tale tecnica riproduttiva in altri Paesi, in cui non vige tale divieto, peraltro, ha posto le nostre Corti di fronte al problema se dare o meno efficacia agli atti di nascita redatti all’estero, in cui venivano indicati, quali genitori, i membri della coppia che a tale pratica avevano fatto ricorso, ovvero, nel diverso caso in cui risultasse un solo genitore, se consentire la creazione di un rapporto giuridico anche con la cosiddetta “madre di intenzione”. Pur nella varietà delle fattispecie che si sono via via presentate, orientamento del tutto prevalente vuole che la decisione debba essere presa tenendo conto dell’esclusivo interesse del minore, da intendere quale tutela della sua identità personale, seppure nato attraverso la pratica, vietata nello stato membro, della maternità surrogata, in quanto individuo, a prescindere dai suoi legami biologici con i genitori intenzionali: gli Stati membri del Consiglio d’Europa, se possono scoraggiare o vietare il ricorso alla surrogacy, non possono rifiutare, senza eccedere il margine di discrezionalità loro consentito, la trascrizione di un atto di nascita che assicura il rispetto del minore alla vita privata, rispondendo tale trascrizione al “best interest” del minore.

Infatti, proprio sulla trascrizione dell’atto di nascita di un minore nato all’estero, nella specie in Ucraina, attraverso la pratica della surrogazione di maternità, vi sono state pronunce discordanti in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 495 c.p. rubricato

Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”.

Secondo l’orientamento prevalente , però, la richiesta di trascrizione in Italia degli atti di nascita di minori, formati in Ucraina e attestanti, conformemente alla legge locale, che ne sono genitori la coppia italiana richiedente la trascrizione medesima, mentre solo il marito è padre anche biologico e la nascita è avvenuta a mezzo di maternità surrogata, integra solo astrattamente il reato di cui all’art. 495 c.p., in quanto, a seguito delle due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 26 giugno 2014, è divenuto irrilevante il metodo di concepimento della prole, quale presupposto per il riconoscimento della maternità e paternità, sicché la surrichiamata richiesta di trascrizione, pur non conforme al vero, è però inidonea a vulnerare l’interesse legalmente tutelato, la veridicità dell’attestazione, e costituisce un falso innocuo, non punibile. Quindi, coloro che realizzano una surrogazione di maternità all’estero, conformemente alla lex loci, dichiarandosi legittimamente genitori di fronte alla competente autorità straniera ai fini della formazione dell’atto di nascita, ed infine consegnano tale atto agli uffici consolari perché venga trasmesso all’ufficiale di stato civile italiano per la trascrizione, non compiono un’alterazione di stato (art. 567, comma 2, c.p.), né false dichiarazioni o attestazioni ex art. 495 c.p., essendo quel loro comportamento privo di valenza decettiva e comunque quelle loro dichiarazioni non false, bensì conformi a una attribuzione di genitorialità valida alla stregua della stessa legge italiana, che in tali casi rinvia alla legge dello Stato estero e prevede, poi, l’anzidetta procedura (artt. 15 e 17, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). In ogni caso, non vi è evidenza del dolo di alterazione di stato. Anche perchè, come più sopra detto, nell’attuale sistema giuridico è divenuto sostanzialmente ininfluente – secondo la giurisprudenza di Strasburgo – il metodo di concepimento quale presupposto per il riconoscimento della maternità e paternità.

La questione della trascrivibilità in Italia di atti di nascita di minori nati all’estero, atti formati in modo legittimo nei paesi che consentono la maternità surrogata, si pone anche con riguardo all’ordine pubblico interno per effetto della 218/1995. Per la Suprema Corte, l’atto di nascita straniero, validamente formato a seguito di gestazione per altri, non contrasta con l’ordine pubblico internazionale per il fatto che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta nell’ordinamento italiano dalla L. n. 40/2004, rappresentando quest’ultima una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate. Anche una recente sentenza del 2016 della Corte d’Appello di Milano si è uniformata a tale principio: non può avere rilevanza, ai fini della trascrizione di un atto di nascita, il fatto che il bambino sia stato messo al mondo mediante una pratica di procreazione assistita non consentita in Italia. La difformità della legge straniera, che consente la gestazione per altri, da quella italiana non è infatti causa di per sé sola di violazione dell’ordine pubblico, da intendersi quale insieme dei diritti fondamentali dell’uomo desumibili dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Per concludere, in assenza di una disciplina legislativa espressa di regolamentazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è compito del giudice di valutare la complessità delle diverse “storie di vita” nella loro globalità, procedendo ad un contemperamento dei vari interessi coinvolti che rapporti e confronti modelli giuridici a modelli culturali e sociali in continua evoluzione; nella specie, la liceità e la meritevolezza degli interessi perseguiti dall’accordo atipico di maternità surrogata risultano: a) dall’assenza di corrispettivo e b) dall’aspirazione della coppia, garantita costituzionalmente dall’art. 2 in quanto espressione del generale diritto di manifestazione e svolgimento della personalità, alla realizzazione come genitori. Per il giudice chiamato a riconoscere un provvedimento straniero attributivo di maternità, a valle di un contratto di maternità surrogata, deve ritenersi che il solo fatto che la legislazione italiana (odiernamente vigente) vieti la tecnica della maternità surrogata e sia ispirata al principio della prevalenza della maternità “biologica” su quella “sociale”, non determini contrarietà del provvedimento all’ordine pubblico internazionale, a fronte di legislazioni di altri Stati europei che prevedono deroghe a tale principio; ciò tanto più allorché il giudice sia chiamato a valutare una situazione giuridica acquisita all’estero in conformità della legge locale poiché, in tali ipotesi – dovendosi valutare gli effetti e le ricadute concrete del riconoscimento, o del suo diniego – diviene evidente, per il gravissimo pregiudizio che altrimenti i bambini subirebbero, l’esigenza di dare loro certezza formale in Italia circa il proprio status di figli della madre surrogata, in modo da evitare la paradossale situazione per cui gli stessi risultino, sul piano formale, figli di madri diverse in stati diversi.

Avv. Alessandra Di Raimondo


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