LA MATERNITÀ SURROGATA E L’ADOZIONE DEL FIGLIO DA PARTE DEL PARTNER

Aspetti particolari sulla maternità surrogata: il caso dell’adozione da parte del partner del figlio nato da maternità surrogata.

Il Tribunale dei minorenni di Milano con la sentenza del sentenza del 10 ottobre 2018 statuisce che:

L’adozione dei minori, nati da maternità surrogata, da parte del partner del genitore biologico realizza il preminente interesse degli stessi, formalizzando da un lato una situazione di fatto già esistente, caratterizzata da un legame già esistente e riconosciuto, e dall’altro, dando loro garanzie aggiuntive rispetto all’attuale situazione, sotto il profilo economico e soprattutto affettivo, in caso di necessità di supplire a eventuali assenze del padre biologico.

Come abbiamo avuto già modo di ribadire nei precedenti articoli, in Italia, la surrogazione di maternità, che consiste in una tecnica di procreazione assistita ove una donna, detta gestante, si presta a portare a termine un’intera gravidanza su commissione di persone single o di coppie eterosessuali od omosessuali, incapaci di generare o concepire un bambino, costituisce una pratica medica vietata. È legale, invece, in altri paesi quali, Russia, Canada, Stati Uniti.

Tale divieto, rafforzato da sanzione penale, deriva dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in quanto attività contraria all’ordine pubblico interno, in ragione della tutela costituzionalmente garantita alla dignità umana della gestante, e tenuto conto che, nel superiore interesse del minore, l’ordinamento giuridico affida la realizzazione di un progetto di genitorialità privo di legame biologico con il nato solo all’istituto dell’adozione – che gode delle garanzie del procedimento giurisdizionale – e non al mero accordo fra le parti.

Per contro, si è sostenuto, invece che, il divieto di surrogazione di maternità, impedendo alla coppia, impossibilitata alla gestazione a causa di una patologia della donna, di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli, si ponga poi in formale contrasto con gli articoli 2, 3, e 31 della Costituzione, norme nelle quali la Corte Costituzionale ha radicato la fondamentale, generale e incoercibile libertà di autodeterminarsi nella sfera più intima e intangibile della persona umana. Va qui richiamata la sentenza 162/2014, nella parte in cui la Consulta ha affermato che

“..la scelta della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi..”,

precisando come il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli ,

“..anche indipendentemente dal dato genetico..”,

è favorevolmente considerato dall’ordinamento giuridico, emergendo dallo stesso istituto dell’adozione, per quanto finalizzato a garantire una famiglia ai minori, che comunque

“..il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa..“.

A suffragio vi sono anche due sentenze della Corte di Giustizia Europea dei diritti dell’uomo del 26 giugno 2014, che affermano che è divenuto irrilevante il metodo di concepimento della prole, quale presupposto per il riconoscimento della maternità e paternità, sicché la richiesta di trascrizione, in Italia, degli atti di nascita di minori, formati all’estero e attestanti, conformemente alla legge locale, che ne sono genitori la coppia italiana richiedente la trascrizione medesima, mentre solo il marito è padre anche biologico e la nascita è avvenuta a mezzo di maternità surrogata, pur non essendo conforme al vero, è però inidonea a vulnerare l’interesse legalmente tutelato, la veridicità dell’attestazione, e costituisce un falso innocuo, non punibile.

Come più sopra accennato, il ricorso a tale pratica è prevista pure per coppie omosessuali. Vediamo nel caso specifico, come ciò è avvenuto.

L’istante, rivolgendosi al Trinunale dei Minori di Milano, ha chiesto l’adozione ai sensi dell’art. 44 lett. d) L. 184/83 dei figli biologici del proprio compagno con cui aveva iniziato dal novembre del 1999 una stabile relazione sentimentale. La relazione si protraeva nel tempo, con consapevole e determinata condivisione di scelte e di impegni l’uno verso l’altro, anche di tipo economico. Precisava il ricorrente che il desiderio di genitorialità era nato molto gradualmente.

La coppia, poi unita civilmente, si era rivolta ad una organizzazione specifica, dove affrontava la procedura di c.d. procreazione medicalmente assistita, con l’ausilio di due donne, una che forniva l’ovulo e l’altra, che portava avanti la gravidanza. Nascevano quindi i due gemelli immediatamente accolti dall’istante come propri figli. Sin dalla nascita si era sempre occupato delle cure affettive e primarie dei piccoli, al pari del padre biologico, pertanto, chiedeva di potere adottare i minori ai sensi dell’art. 44 lett. DL. 83/84.

Sono state svolte le indagini di rito sulle consuetudini di vita del ricorrente da parte dei Servizi sociali territorialmente competenti al fine di verificare:

a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare, istruire il minore, la situazione patrimoniale ed economica, la salute e l’ambiente familiare degli adottanti;

b) i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore;

c) la personalità del minore;

d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore (art. 57). E’ stato quindi sentito il ricorrente e il padre dei minori, che ribadiva il proprio assenso alla adozione, già presente agli atti.

Stante il fatto che il ricorrente fin da subito aveva svolto un ruolo educativo ed affettivo del tutto equiparabile a quello del padre naturale, divenendo figura genitoriale a tutti gli effetti anche sotto il profilo sociale (fatti, tra l’altro, confermati anche  dagli operatori dei servizi sociali che avevano constatato la serenità e ilbenessere di entrambi i minori), in linea con quanto già statuito dalla sentenza del 2016 della Cassazione, l’adozione dei minori da parte del ricorrente realizzava il preminente interesse degli stessi, formalizzando da un lato una situazione di fatto già esistente, caratterizzata da un legame già ampiamente riconosciuto e conosciuto anche nel loro ambito sociale, e dall’altro, dando loro garanzie aggiuntive rispetto all’attuale situazione, sotto il profilo economico e soprattutto affettivo, in caso di necessità di supplire a eventuali assenze del padre naturale.

Sotto il profilo prettamente giuridico il ricorso proposto è stato consapevolmente avanzato dall’adottante ai sensi dell’art. 44 lett. D L. 184/83, avendo preso atto che l’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016 n.76, che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto, non ha modificato l’art. 44 lett. B L.184/83, non estendendo all’unione civile quanto già disposto per le coppie unite in matrimonio, ovvero non prevedendo la possibilità (c.d. stepchild adoption) che il partner possa adottare il figlio dell’altro, diversamente da quanto ammesso per il coniuge.

Non essendo consentito dalla legge italiana alle coppie non coniugate, anche se unite civilmente, di accedere alla c.d. adozione legittimante (che presuppone lo stato di abbandono del minore e determina la totale rescissione della relazione del minore adottato con i componenti della famiglia d’origine), per adottare il figlio biologico del compagno, le coppie omosessuali devono utilizzare il disposto della lettera D dell’art. 44, che riguarda l’ipotesi di impossibilità di affidamento preadottivo del minore.

L’adozione in casi particolari ha proprio lo scopo di favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già si prendono cura di lui, prevedendo effetti più limitati ma presupposti meno rigidi. Così facendo si rende prevalente la finalità di proteggere il minore se mancano le condizioni che consentono l’adozione ordinaria.

Tale normativa è stata interpretata, ed utilizzata, come uno strumento di chiusura, destinato a salvaguardare il preminente interesse del minore ad essere accolto in una famiglia ove ricorrano determinate ipotesi specifiche, senza che sia però necessario provvedere all’accertamento della sussistenza dello “stato di abbandono“, previo consenso del genitore ove in vita, e previo positivo accertamento ai sensi del successivo art. 57 L. 184/83, che tale adozione risponda in concreto al preminente interesse del minore. Non è in discussione che il “preminente interesse del minore” è univocamente riconosciuto quale principio cardine e irrinunciabile dell’intera normativa minorile.

In quest’ottica – e certamente nel caso che ci occupa- l’interesse dei bambini è quello di venire adottati dal genitore non biologico che svolge già adeguatamente il ruolo di genitore, così da ricevere la massima tutela e copertura giuridica. Non può non sottolinearsi, e del resto è del tutto evidente, che anche in caso di rigetto del ricorso adottivo la coppia omosessuale e il figlio/figli continuerebbero nella loro vita insieme, con il risultato che la mancata pronuncia sulla adozione non avrà che l’unico effetto di determinare intuibili e reiterate complicazioni di ordine burocratico, giuridico e sociale non solo sugli adulti ma, per quello che qui interessa, sugli stessi figli e sul loro riconoscimento in ambito sociale.

Tra l’altro è importante sottolineare poi che la presente decisione arriva in un panorama giurisprudenziale differente e per così dire consolidato rispetto a quello presente all’epoca della precedente pronuncia in materia di questo Tribunale per i minorenni, sentenza 13 settembre 2016 n.261, che (in diversa composizione) aveva ritenuto di respingere la domanda di adozione presentata ai sensi dell’art. 44 lett. D, da parte di due donne che chiedevano reciprocamente di potere adottare l’una la figlia dell’altra, minori concepite mediante inseminazione artificiale, in esecuzione di un progetto di genitorialità condivisa nell’ambito della loro solida relazione sentimentale.

La predetta statuizione risulta essere stata interamente riformata dalla Corte d’appello di Milano che, ampiamente motivando e ripercorrendo confutandoli i passaggi del giudice di primo grado, ha accolto entrambi i ricorsi dichiarando l’adozione incrociata delle minori, anche in forza della citata e nota sentenza della Corte di Cassazione 12962/16 (adesiva al c.d. filone giurisprudenziale di merito che già aveva dato un’interpretazione ampia della lettera d) dell’art. 44 L. 184/83 facendovi rientrare -in rari casi- anche l’adozione da parte del convivente nelle coppie eterosessuali).

In seguito la giurisprudenza di merito -anche solo con intento espressamente adesivo al decisum della Corte di Cassazione, si è mostrata sempre più convincentemente orientata verso l’accoglimento di analoghi ricorsi (si veda ex multis Tribunale per i Minorenni di Firenze n. 212/16 del 16.11.2017 , TM di Venezia 317/16 del 31 maggio 2017, Corte d’Appello di Torino sezione Minorenni n. 686/2015 del 27.5.2016), valorizzando il superiore interesse del minore, ribadendo che il compito dell’interprete è quello di dare tutela giuridica al legame di fatto -ove positivamente accertato- tra l’adottante e l’adottato e, soprattutto, interpretando il requisito richiesto dalla lett. D dell’art. 44 L. adoz. , “constatata impossibilità di affidamento preadottivo del minore, in modo “estensivo-evolutivo” come indicato dalla Corte di Cassazione citata, non richiedendo lo stato di abbandono dell’adottando -status che viene evocato dalla locuzione “affido preadottivo“- ritenendo sufficiente una c.d. impossibilità di fatto di addivenire all’affido preadottivo.

Ciò considerato, coerentemente con la giurisprudenza del tutto maggioritaria, deve ritenersi che il legislatore, facendo riferimento alla impossibilità di affidamento preadottivo del minore, se in un primo tempo aveva certamente inteso semplificare la procedura per quei minori di cui era stato dichiarato lo stato di abbandono ma non era stata reperita una coppia disponibile/idonea a prenderlo in affidamento preadottivo, estendendo la possibilità di adottarlo a chiunque (persone sole, non sposate, coppie conviventi o anche coppie omosessuali) purché fosse in ogni caso accertato che ciò corrispondesse in concreto all’interesse del minore stesso, abbia ad oggi scelto consapevolmente di non modificare la norma, lasciando che la stessa diventasse oggetto di interpretazione evolutiva, quale valvola di chiusura del sistema.

Stante la delicatezza della materia, condividendo del resto le considerazioni di matrice evolutiva già espresse dalla Suprema Corte e della sempre più ampia giurisprudenza di merito, il Tribunale dei minori di Milano ha ritenuto che il ricorso che vada accolto nella consapevolezza, per quanto emerso dall’istruttoria effettuata, che il miglior interesse di entrambi i minori sia rappresentato dal riconoscimento giuridico dello stabile e profondo legame che li lega al ricorrente, che mostra verso di loro modalità accudenti spiccate e proprie di un genitore (non qualsiasi ma) concretamente adeguato, in grado di esprimere validamente la propria affettività e di trasmettere, unitamente al padre biologico, una concezione di “famiglia” spiccatamente avvolgente, fondata sul ponderato desiderio di crescere dei figli e di dare loro ogni possibile strumento affettivo, educativo e materiale per il loro sviluppo.

Quanto infine alla problematica della nascita dei minori e più specificamente al quesito se siano da considerarsi concretamente adeguati genitori (omosessuali o meno) che, pur di avere figli, ricorrano a pratiche di procreazione assistita all’estero – essendo vietata tale pratica in Italia- anche facendo ricorso a maternità surrogata, che possano fare nascere il sospetto che la coppia abbia approfittato di uno stato di bisogno della madre che partecipa alla procreazione, si deve rilevare come nel caso di specie non sussistano elementi, neanche indiziari, per fare ritenere che il ricorrente, partecipando attivamente al percorso genitoriale tramite GPA (gestazione per altri) abbia inteso offendere o sfruttare terze persone, come nessun infingimento sulle origini è stato posto in essere dal padre biologico né, tanto meno dal ricorrente, atteso che sull’atto di nascita dei minori risulta “padre identificato e madre che ha scelto di non fare sapere i propri dati”.

Concludendo, l’istanza di adozione presentata dal ricorrente appare espressione non tanto di una pretesa di vedere riconosciuto un proprio preteso diritto ad essere genitore, bensì al contrario esprime il suo intenso desiderio di rafforzare la tutela dei figli dal punto di vista giuridico, essendo evidente che, “in fatto“, in nulla cambierebbe la quotidianità della famiglia anche ove fosse respinto il ricorso adottivo.

Infine è stato anche accolta la richiesta del ricorrente a che il suo cognome debba esser posposto a quello del padre biologico, con il quale ormai i minori si identificano.

Avv. Alessandra Di Raimondo


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