LA MANCANZA DEL CONSENSO NELLA VIOLENZA SESSUALE


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Violenza sessuale: la mancanza del consenso è un requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso di sostanza in un errore inescusabile sulla legge penale

Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza n. 42118 del 2019

La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado aveva rideterminato la pena inflitta all’imputato per il reato di cui agli articoli 81, 572, 582 e 585 c.p., nonché 609-bis, e 609-ter comma 1 n. 5 quater c.p., in danno della convivente.

Nel ricorrere in Cassazione l’imputato lamenta, in relazione alla condanna per il reato di cui all’art. 609-bis c.p., che il dissenso al rapporto era stato manifestato dalla donna solamente al termine dello stesso, laddove la convivente aveva contestato all’uomo ogni sorta di violenza e di vessazione senza però fare alcun riferimento ad atti di violenza sessuale ovvero a costruzione di rapporti, si che tali messaggi davano conto solo dell’intenzione della stessa di chiudere la relazione affettiva intercorrente.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato infondato il ricorso, rammentando come

“integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non solo la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, dalla persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza e della materialità degli atti compiuti sulla sua persona”.

L’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è costituito dal dolo generico e quindi, dalla coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente, restando irrilevante l’eventuale fine ulteriore propostosi dal soggetto agente.

La mancanza del consenso rappresenta un requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso di sostanza in un errore inescusabile sulla legge penale.

Come affermato dalla sentenza di Cassazione n. 49597 del 2016, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale

“è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico”.

Non è ravvisabile alcun indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato, un onere di espressione del dissenso all’intromissione di soggetti terzi all’interno della sua sfera di intimità sessuale. Invece, tale dissenso deve presumersi, laddove non sussistano indici chiari ed univoci volti a dimostrare l’esistenza di un sia pur tacito ma inequivoco consenso.

Si deve ricordare che per quanto riguarda il reato di violenza sessuale, la circostanza attenuante della minor gravità può essere riconosciuta solamente all’esito di una valutazione globale del fatto, che tenga conto del grado di coartazione esercitato sulla vittima, delle sue condizioni psico-fisiche e dell’entità della compressione della sua libertà sessuale. È sufficiente qualunque forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che al contrario rilevi né l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale, né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti, laddove risulti la prova che l’agente abbia la consapevolezza del rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali.

La circostanza attenuante prevista dall’art. 609-bis c.p., terzo comma, è applicabile quando la libertà sessuale della vittima sia stata compressa in maniera lieve.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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