INGIUSTA DETENZIONE

Ingiusta detenzione ed indennizzo

La Corte di Cassazione penale, sez. IV, con la sentenza n. 42014 del 14 settembre 2017 ha stabilito che in caso di ingiusta detenzione non è dovuto alcun indennizzo all’imputato reticente o con un alibi falso

Vi sono alcuni comportamenti che, pur se assunti legittimamente all’interno del processo penale, possono essere ostativi al riconoscimento della ripartizione per ingiusta detenzione, ex art. 314 del codice di procedura penale, stante l’autonomia del giudice della ripartizione nel controllare se le condotte tenute dall’imputato si pongano come fattore condizionante alla produzione dell’evento detenzione.

Il giudice della ripartizione, per verificare la sussistenza della colpa grave, può esaminare il comportamento silenzioso o l’indicazione di un alibi falso, in quanto il diritto ad una equa ripartizione presuppone una condotta del soggetto interessato idonea a chiarire la sua posizione.

Ciò è quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. IV, n. 420114 del 14/09/2017, emessa contro l’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Firenze respingeva la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione, subita per 4 anni, da un soggetto imputato di omicidio e di altri reati gravi, successivamente assolto con sentenza definitiva.

Con tale ordinanza, la Corte territoriale aveva sostenuto che il richiedente avesse, con il suo comportamento colposo, concorso a causare la misura custodiale, in quanto nelle prime fasi delle indagini preliminari aveva resi narrazioni contrastanti, che avrebbero corroborato, con altri elementi indiziari, l’interpretazione accusatoria che aveva poi portato al fermo e all’emissione della misura della custodia cautelare.

Con il ricorso per Cassazione, proposto per violazione di legge e vizio di motivazione, la difesa aveva evidenziato la mancanza di decisività delle dichiarazioni rese dal ricorrente rispetto all’applicazione e al mantenimento della misura cautelare, sottolineando con queste erano il frutto di un errore di valutazione investigativa.

La Corte ha rispinto le censure proposte dal ricorrente, notando come la sentenza di assoluzione che verifichi l’infondatezza dell’ipotesi accusatoria all’esito del giudizio di merito, non sia sufficiente per riconoscere la riparazione per ingiusta detenzione, in quanto il giudice della riparazione deve verificare che l’interessato non abbia dato concorso a dare causa alla custodia cautelare subita con dolo o colpa grave.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il ragionamento della difesa non fosse correttamente impostato, statuendo che:

“Non basta […] richiamare le lacune dell’istruttoria e delle indagini preliminari, dovendosi verificare comunque l’esistenza di un comportamento gravemente colposo o doloso dell’interessato che abbia svolto un’azione sinergica rispetto all’adozione ed al mantenimento della misura cautelare”.

Dott.ssa Benedetta Cacace