Il reato di stalking

Quanto deve durare la persecuzione affinché sia stalking?

La Corte di Cassazione penale, sezione V, con la sentenza del 31 marzo 2017 n. 16205 ha precisato che si può ravvisare lo stalking anche se la persecuzione dura un solo giorno

L’articolo 660 del codice penale nel disciplinare il delitto di molestia o disturbo alle persone dispone che:

“Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro”.

Nel caso di specie, il g.i.p. del Tribunale aveva dichiarato l’imputato colpevole del delitto ex art. 660 c.p., riqualificando l’originaria imputazione per atti persecutori ex art. 612 bis c.p., consumato ai danni di una donna, essendosi appostato sotto la sua abitazione, ed aver scritto sulla sua automobile e sul portone di casa frasi a sfondo sessuale.

La donna aveva riferito di aver subito per circa un mese delle attenzioni non gradite da parte dell’imputato, le quali le avevano causato uno stato di ansia caratterizzato da episodi di insonnia e perdita di peso.

Il giudice aveva riqualificato il fatto non emergendo dalla ricostruzione dei fatti che la donna avesse dovuto modificare le proprie abitudini di vita, in quanto lo stato d’ansia della vittima si era protratto per un breve lasso di tempo, coincidente con le condotte dell’imputato.

Inoltre le frasi rivolte alla stessa erano più scurrili che minacciose, non potendo determinare un particolare timore.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno accolto il ricorso presentato dalla vittima, ritenendo fondato il motivo di ricorso in quanto ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori è sufficiente il realizzarsi anche si uno solo degli eventi alternativamente previsti dall’art. 612 bis c.p.

L’articolo in questione statuisce che:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.

Le frasi vergate dall’imputato, in luoghi pubblici, erano talmente volgari ed allusive da poter causare il turbamento denunciato.

Inoltre non pare decisivo il ristretto ambito temporale in cui le condotte si erano consumate dato che la Corte di Cassazione, con diverse pronunce ha avuto modo di affermare che:

“è configurabile il delitto di atti persecutori anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, una sola giornata, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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