IL REATO DI RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE
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Resistenza a pubblico ufficiale
Cassazione penale, sez. VI, ordinanza n. 57249 del 21 dicembre 2017
L’art. 337 c.p. disciplina il reato di violenza a pubblico ufficiale e dispone che:
“Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano ritenuto l’imputato responsabile ex art. 81 e 337 c.p., per aver rivolto minacce di morte ed usato violenza contro l’assistente e l’Ispettore, usando le seguenti espressioni:
“Ti ammazzo, sono di Ancora, quanto siete voi io vi ammazzo tutti”,
“lasciatemi andare che vi ammazzo”,
strattonandoli e tentando di prenderli a pugni per opporsi mentre i predetti pubblici ufficiali intervenivano per impedirgli di aggredire una persona.
La Corte di Cassazione, intervenuta sulla questione ha evidenziato che vi è un contrasto interpretativo in giurisprudenza sulla sussistenza di una o più violazioni dell’art. 337 c.p. nel caso in cui l’azione minacciosa o violenta sia stata posta in essere nei riguardi di una pluralità di pubblici ufficiali o assistenti.
L’orientamento seguito dai primi due gradi di giudizio applica la continuazione considerando la duplicità del reato in ragione dell’esistenza di due pubblici ufficiali, infatti
“la resistenza o la minaccia adoperate nel medesimo conteso fattuale per opporsi a pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 c.p., ma tanti distinti reati quanti sono i pubblici ufficiali operanti, giacché la condotta criminosa si perfeziona con l’offesa al libero espletamento dell’attività di ciascuno di essi”.
Secondo un altro orientamento, minoritario,
“in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un unico reato, e non una pluralità di reati avvinti dalla continuazione, la violenza o la minaccia posta in essere nel medesimo contesto fattuale per opporsi al compimento di uno stesso atto di ufficio o di servizio, anche se nei confronti di più pubblici ufficiali od incaricati di un pubblico servizio”.
Gli Ermellini, nel decidere il caso in oggetto hanno fatto proprio il primo orientamento pocanzi espresso.