IL PADRE VIENE DICHIARATO INABILE AL LAVORO, IL FIGLIO HA DIRITTO AD ESSERE ASSUNTO?

Assunzione obbligatoria per il figlio di un dipendente dichiarato inabile al lavoro?

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 6946 del 2019

Con la sentenza in commento la Corte di cassazione è intervenuta per chiarire che essere figli di un lavoratore, dichiarato inabile al lavoro in maniera totale e permanente dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, non garantisce l’assunzione da parte della società datrice di lavoro.

Nello specifico sia il Tribunale che la Corte d’Appello  avevano respinto le doglianze attoree dirette ad ottenere, nei confronti della società datrice di lavoro, ex art. 12 del c.c.n.l. 2002/2005, la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto che il padre era un dipendente di quest’ultima ed era stato dichiarato totalmente e permanentemente inabile al lavoro per cause di servizio.

Secondo i giudici la norma contenuta nel contratto collettivo doveva essere interpretata nel senso che il beneficio possa operare solamente in caso di cessazione del rapporto di lavoro del dipendente, oltre che per decesso, per sopravvenuta inabilità totale e permanente che non permetta la prosecuzione del rapporto e non possa trovare applicazione, nel caso in cui, come quello di specie, il dipendente sia stato collocato a riposo avendo raggiunto i limiti di età.

Nel ricorrere in Cassazione la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso l’operatività della disposizione prevista dal contratto collettivo, sulla base che il padre era stato posto in quiescenza per sopraggiunti limiti di età, senza considerare che la domanda tendente ad ottenere il riconoscimento dell’inabilità totale e permanente al lavoro era stata formulata nella vigenza del rapporto e che gli effetti retroagiscono al momento della proposizione.

Gli Ermellini, intervenuti per dirimere la questione hanno dichiarato infondato il motivo di ricorso, hanno chiarito che:

“l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra”.

La Corte di Cassazione ha sottolineato come la ricorrente non avesse sufficientemente criticato la scelta dei giudici di merito di non prendere in considerazione la circostanza che la domanda di pensionamento presentata dal padre fosse stata presentata in quanto “non idoneo” al lavoro.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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