FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ E COMPENSO DELL’AVVOCATO

In caso di fallimento della società cliente l’avvocato non ha diritto al privilegio se non dimostra di aver personalmente ed esclusivamente prestato la propria opera

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 5248 del 2019

L’avvocato che fa parte di uno studio associato ha diritto al privilegio ex art. 2751-bis c.c. n. 2 se non dimostra di aver prestato personalmente la sua opera?

Nel caso di specie, il ricorrente in qualità di avvocato, aveva adito la Corte di Cassazione avverso il decreto del Tribunale che, accogliendo parzialmente l’opposizione ex art. 99 L. Fall. E D.Lgs. n. 279 del 1999, art. 53, lo aveva ammesso al passivo dell’amministrazione straordinaria apertasi a carico di una società sua cliente, per gli onorari non pagati, ma gli aveva negato l’invocato privilegio ex art. 2751-bis c.c. n. 2.

L’articolo 2751-bis n. 2 del codice civile dispone che:

“Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti:

2)le retribuzioni dei professionisti, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto, e di ogni altro prestatore d’opera dovute per gli ultimi due anni di prestazione”.

Il Tribunale non aveva concesso il privilegio richiesto dall’attore ritenendo che, malgrado nell’istanza di ammissione al passivo si facesse riferimento alla natura personale delle prestazioni professionali da lui fornite in favore della società fallita, dall’esame della complessiva documentazione prodotta emergeva invece che la collaborazione professionale avesse avuto solamente quale referente lo studio associato per cui lavorava, e non singolarmente l’attore nella sua qualità di avvocato.

Il ricorrente sostiene che l’attività giudiziale nei confronti della società fallita erano state da lui personalmente svolte e il fatto che la procura alle liti fosse stata congiuntamente firmata da un collega di studio non aveva alcuna rilevanza ai fini dell’esclusione del privilegio invocato.

Gli Ermellini intervenuti per dirimere la controversia hanno dichiarato infondato il motivo di ricorso, ricordando che il privilegio sancito dall’art. 2751-bis n. 2 del codice civile, garantisce soltanto i compensi professionali spettanti al singolo professionista o prestatore d’opera per il lavoro personale svolto in forma autonoma, con esclusione dei compensi che contengono una remunerazione di capitale.

Tale ultima ipotesi ricorre tutte le volte in cui i compensi sono dovuti a professionisti che esercitano la loro attività lavorativa in forma societaria.

Come precisato dalle sentenze di Cassazione n. 22439 del 2009; n. 17027 del 2013; n. 9927 del 2018; n. 15290 del 2018 e n. 20438 del 2018:

“il fatto che il creditore sia inserito in un’associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, non può comportare dì per sé, quale conseguenza automatica ed indefettibile, la inapplicabilità del privilegio di cui alla citata norma. Tuttavia, è pur sempre necessario che, in siffatta ipotesi, il rapporto di prestazione d’opera si instauri esclusivamente e direttamente tra il singolo professionista ed il cliente, soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un’attività lavorativa, ancorché comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento”.

In una recente sentenza, la n. 9927/2018 la Corte di Cassazione ha affermato che la domanda di insinuazione al passivo proposta da uno studio associato fa automaticamente presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui è derivato il credito in contestazione, a meno che l’istante non dimostri che il credito vantato si riferisca ad una prestazione svolta personalmente ed in via esclusiva.

Nel caso di specie il ricorrente aveva dichiarato di agire “in proprio e quale socio e rappresentante legale dello studio legale C. e associati”, così facendo aveva fatto sorgere un ragionevole dubbio sulla personalità del credito, non fornendo nemmeno nel giudizio di merito alcuna prova idonea a dimostrare il contrario.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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