… E SE IL CANE MORDE PER LEGITTIMA DIFESA?


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Cane che morde per legittima difesa: no alla condanna penale del padrone

Corte di Cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 50562 del 2019

La Corte di Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza n. 50562 del 2019 è intervenuta per chiarire che il padrone dell’animale che morde per difendersi, non può essere condannato in sede penale.

Nel caso di specie il Giudice di Pace aveva dichiarato l’imputata colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p., per aver causato alla vittima lesioni personali colpose. Nello specifico per negligenza, imprudenza o imperizia, nella qualità di proprietaria del cane, lo aveva lasciato incustodito e senza museruola sulla pubblica via, causando alla vittima lesioni personali giudicate guaribili in sette giorni.

L’articolo 590 c.p. dispone che:

“Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme [sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle] per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pensa della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale”.

La ricorrente, nell’adire la Corte di Cassazione lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in quanto, il cane non era libero ma era al guinzaglio, inoltre si era in presenza di caso fortuito per aver l’animale reagito, dopo che la bicicletta condotta dalla persona offesa gli era passata sopra la coda.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno accolto il ricorsorilevando come l’istruttoria dibattimentale avesse messo in luce una dinamica degli aventi contrapposti, senza motivare sulle ragioni che hanno indotto il giudicante a ritenere maggiormente attendibile l’una o l’altra versione.

Si è specificato che

“Se è pur vero che la posizione di garanzia che grava sul detentore del cane copre anche i comportamenti imprudenti altrui e che la colpa della vittima che ponga in essere un comportamento imprudente può al più concorrere con quella del garante, ma non elide quest’ultima, va tuttavia osservato come nel caso di specie ci si trovi di fronte ad evenienza caratterizzata da assoluta abnormità ed eccentricità, che andava comunque presa in considerazione e che non poteva ritenersi tout court irrilevante”.

Dovendo affermare la responsabilità penale dell’imputato si deve accertare in positivo la sua colpa, e non è sufficiente rifarsi alla presunzione ex art. 2052 c.c., e all’inversione della prova perché tali principi rilevano solo ai fini della responsabilità civile.

Come stabilito dalla Cassazione con la pronuncia n. 31874 del 2019

“per valutare il comportamento dell’agente può aversi riguardo a quanto stabilito dall’art. 672 c.p., che, a prescindere dalla intervenuta depenalizzazione, costituisce tuttora valido termine di riferimento per la valutazione della colpa”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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